Res Gestae Divi Augusti



e così Augusto accentrò nella sua persona, un po' alla volta,  tutti i poteri. La forza dell'esercito era ai suoi ordini e lui teneva saldamente i cordoni della borsa. Molto lo consideravano una divinità.... Ma agì in modo lento, prudente, subdolo, dissimulato. Il regime si faceva portatore erano quelli del così detto mos maiorum, il costume degli antenati:
- la Pace
- la grandezza di Roma
- il valore dell'Agricoltura
- il recupero della Religione tradizionale.
Lui stesso appariva modesto, si presentava  come il primo difensore della Repubblica che aveva soffocato con le sue mani. Questo lo dice già il libro di storia e noni stessi abbiamo visto a Roma, alla mostre per il bimillenario della morte di Augusto, come gli artisti avessero contribuito a diffondere quest'immagine un po' idealizzata e un po' distorta del princeps.

Ma le le fonti cosa ci raccontano? Possibile che nessuno si sia accorto delle manovre del regime? Se possiamo immaginarci facilmente un popolo plagiato dalla propaganda siamo increduli di fronte al silenzio degli intellettuali. Saranno stati tutti al soldo del Princeps?
E gli storici di professione cosa ci hanno raccontato?

Le fonti che possiamo leggere sono solo due: gli Annales di Tacito, che odiava tutti gli imperatori, ma scrive 100 anni dopo Augusto e le Res Gestae Divi Augusti, delle quali però possiamo fidarci poco, essendo state scritte di proprio pugno dallo stesso Augusto.
Tuttavia questo abbiamo e da questi testi partiremo. Naturalmente ci leggeremo tutto!

Res Gestae Divi Augusti  (Testo latino tratto da www.thelatinlibrary.com/resgestae.html)

Rerum gestarum divi Augusti, quibus orbem 
terrarum imperio populi Romani subiecit, et 
impensarum quas in rem publicam 
populumque Romanum fecit, incisarum in 
duabus aheneis pilis, quae sunt Romae positae, 
exemplar subiectum.
Esemplare delle Imprese del Divo Augusto,
con le quali sottomise l’orbe all’imperium del
popolo romano e delle spese che fece a favore
della res publica e del popolo romano, incise
in due pilastri di bronzo, posti in Roma.

[1] Annos undeviginti natus exercitum privato 
consilio et privata impensa comparavi, per 
quem rem publicam a dominatione factionis 
oppressam in libertatem vindicavi. [Ob quae] 
senatus decretis honorificis in ordinem suum 
me adlegit, C. Pansa et A. Hirtio consulibus, 
consularem locum sententiae dicendae 
tribuens, et imperium mihi dedit. Res publica 
ne quid detrimenti caperet, me propraetore 
simul cum consulibus providere iussit. Populus 
autem eodem anno me consulem, cum cos. 
uterque bello cecidisset, et triumvirum rei 
publicae constituendae creavit. 
1. All’età di diciannove anni apprestai, per
decisione e con spesa privata (a mia iniziativa
e a mie spese), un esercito con il quale liberai
la res publica dal dominio delle fazioni che la
opprimevano. Per la qual cosa il Senato, con
decreti onorifici, mi cooptò nel suo ordine,
sotto il consolato di C. Pansa e A. Hirtio [44
a.C.], attribuendomi la facoltà di parlare quale
consolare, e mi conferì l’imperium. Mi dette
inoltre mandato di provvedere quale propretore
insieme con i consoli a che non vi fose danno
alla res publica [formula del senatus
consultum ultimum, che attribuiva pieni poteri
ai consoli]. Lo stesso anno, essendo morti in
guerra i consoli, il popolo mi nominò console e
triumviro rei publicae constituendae [con il
compito di consolidare/riformare? la res
publica].

[2] Qui parentem meum trucidaverunt, eos in 
exilium expuli iudiciis legitimis ultus eorum 
facinus, et postea bellum inferentis rei publicae 
vici bis acie. 
2. Gli uccisori di mio padre [adottivo, C.Giulio
Cesare] mandai in esilio, avendo vendicato con
giudizi legali il loro delitto, e successivamente
- avendo essi mosso guerra alla res publica –
due volte vinsi in battaglia.

[3] Bella terra et mari civilia externaque toto in 
orbe terrarum saepe gessi, victorque omnibus 
veniam petentibus civibus peperci. Externas 
gentes, quibus tuto ignosci potuit, conservare 
quam excidere malui. Millia civium 
Romanorum sub sacramento meo fuerunt 
circiter quingenta. Ex quibus deduxi in 
colonias aut remisi in municipia sua stipendis 
emeritis millia aliquanto plura quam trecenta, 
et iis omnibus agros adsignavi aut pecuniam 
pro praemiis militiae dedi. Naves cepi 
sescentas praeter eas, si quae minores quam 
triremes fuerunt. 
3. Condussi spesso per terra e per mare guerre
civili e con altri popoli per tutto l’orbe, e da
vincitore perdonai tutti i cittadini che
chiedevano venia. Preferii far salvi piuttosto
che uccidere gli stranieri dai quali mi resi
conto di poter essere al sicuro. Giurarono per
me [si vincolarono a me col giuramento
militare] circa cinquecentomila cittadini
romani. Di essi, più di trecentomila stanziai in
colonie o feci tornare ai loro municipi avendo
terminato il servizio militare, e a tutti costoro
assegnai campi o soldi. Catturai seicento navi,
oltre quelle che erano più piccole delle trireme.

[4] Bis ovans triumphavi, tris egi curulis 
triumphos et appellatus sum viciens et semel 
imperator. Cum autem pluris triumphos mihi 
senatus decrevisset, iis supersedi. Laurum de 
fascibus deposui in Capitolio, votis quae 
quoque bello nuncupaveram solutis. Ob res a 
4. Due volte ebbi l’ovazione, feci tre trionfi
curuli e ventuno volte fui acclamato imperator
[generale vittorioso]. Avendomi il Senato
decretato ulteriori trionfi, vi rinunziai. Deposi
in Campidoglio l’alloro dai fasci, avendo
adempiuto i voti solennemente pronunziati  9
me aut per legatos meos auspicis meis terra
marique prospere gestas quinquagiens et
quinquiens decrevit senatus supplicandum esse
dis immortalibus. Dies autem, per quos ex
senatus consulto supplicatum est, fuere
DCCCLXXXX. In triumphis meis ducti sunt
ante currum meum reges aut regum liberi
novem. Consul fueram terdeciens, cum
scribebam haec, et agebam septimum et
tricensimum tribuniciae potestatis.
nelle rispettive guerre. Il Senato decretò
cinquantacinque volte suppliche agli dei
immortali per le imprese felicemente condotte
da me o sotto i miei auspici dai miei legati in
terra e in mare. I giorni in cui furono levate
suppliche per senatoconsulto furono 890. Nei
miei trionfi furono condotti avanti al carro del
trionfo nove tra re e figli di re. Fui console per
tredici volte, fino al momento di questo scritto,
il trentasettesimo anno in cui ho rivestito la
tribunicia potestas.

[5] Dictaturam et apsenti et praesenti mihi 
delatam et a populo et a senatu, M. Marcello et 
L. Arruntio consulibus non accepi. Non 
recusavi in summa frumenti penuria 
curationem annonae, quam ita administravi, ut 
intra paucos dies metu et periclo praesenti 
populum universam liberarem impensa et cura 
mea. Consulatum quoque tum annuum et 
perpetuum mihi delatum non recepi. 
5. Essendo consoli M.Marcello e L.Arrunzio
[22 a.C.], rifiutai di accettare la dittatura,
conferitami in mia assenza e poi me presente
dal Senato e dal popolo. Nel periodo di
massima penuria del frumento non ricusai la
cura dell’Annona, cosicché in pochi giorni
liberai dal timore e dal pericolo presente
l’intera città, a mie spese e cure. Non accettai
anche il consolato annuo e quello perpetuo
offertomi.

[6] Consulibus M. Vinicio et Q. Lucretio et 
postea P. Lentulo et Cn. Lentulo et tertium 
Paullo Fabio Maximo et Q. Tuberone senatu 
populoque Romano consentientibus ut curator 
legum et morum summa potestate solus 
crearer, nullum magistratum contra morem 
maiorum delatum recepi. Quae tum per me 
geri senatus voluit, per tribuniciam potestatem 
perfeci, cuius potestatis conlegam et ipse ultro 
quinquiens a senatu depoposci et accepi. 
6. Essendo consoli M. Vinicio e Q. Lucrezio
[19 a. C.] e successivamente P. Lentulo e Cn.
Lentulo [18 a. C.] e per la terza volta Paullo
Fabio Massimo e Q. Tuberone [11 a. C.]
avendo convenuto il Senato e il popolo di
Roma che io fossi creato unico curatore con
piena potestà delle leggi e dei costumi, non
accettai alcuna magistratura offertami contro il
mos maiorum. Ciò che il Senato volle che io in
quel tempo gestissi, lo feci giovandomi della
tribunicia potestas, nella quale io stesso chiesi
al Senato un collega e lo ebbi [Agrippa nel 18
e nel 13 a.C., Tiberio nel 12 e nel 6 a.C.].

[7] Triumvirum rei publicae constituendae fui 
per continuos annos decem. Princeps senatus 
fui usque ad eum diem quo scripseram haec 
per annos quadraginta. Pontifex maximus, 
augur, XV virum sacris faciundis, VII virum 
epulonum, frater arvalis, sodalis Titius, fetialis 
fui. 
7. Fui triumviro rei publicae constituendae per
dieci anni consecutivi [dal 27 novembre 43 al
31 dicembre 32 a.C]. Sono stato princeps
Senatus fino al giorno in cui scrivo per
quaranta anni [dal 28 a.C.]. Pontefice
massimo, augure, quindicemviro sacris
faciundis [per il compimento dei riti sacri]
settemviro epulonum, sacerdote Arvale,
sacerdote Tizio, feziale.

[8] Patriciorum numerum auxi consul quintum 
iussu populi et senatus. Senatum ter legi, et in 
consulatu sexto censum populi conlega M. 
Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et 
quadragensimum feci, quo lustro civium 
Romanorum censa sunt capita quadragiens 
centum millia et sexaginta tria millia. Tum 
iterum consulari cum imperio lustrum solus 
8. Durante il mio quinto consolato [29 a. C.]
per ordine del Senato e del popolo aumentai il
numero dei patrizi. Tre volte feci nomine al
Senato e nel sesto consolato, avendo collega
M.Agrippa feci il censimento del popolo [28 a.
C.]. Feci il lustrum [sacrificio di espiazione per
il popolo, fatto dai censori al termine del
proprio mandato] dopo quarantadue anni, nel  10
feci C. Censorino et C. Asinio cos., quo lustro
censa sunt civium Romanorum capita
quadragiens centum millia et ducenta triginta
tria millia. Et tertium consulari cum imperio
lustrum conlega Tib. Caesare filio meo feci
Sex. Pompeio et Sex. Appuleio cos., quo lustro
censa sunt civium Romanorum capitum
quadragiens centum millia et nongenta triginta
et septem millia. Legibus novis me auctore
latis multa exempla maiorum exolescentia iam
ex nostro saeculo reduxi et ipse multarum
rerum exempla imitanda posteris tradidi.
quale lustro furono censiti quattromilioni
sessantatremila cittadini romani. Avendo
l’imperium consolare per la seconda volta, feci
da solo il lustro, essendo consoli C. Censorino
e C. Asinio [8 a. C.], e in quel lustro furono
censiti quattromilioniduecentotrentatremila
cittadini romani. Rivestendo l’imperium
consolare per la terza volta, avendo come
collega mio figlio Tiberio Cesare, lo feci sotto
il consolato di Sesto Pompeo e Sesto Appuleio
[14 d. C.] , ed in quel lustro furono censiti
quattromilioninovecentotrentamila cittadini
romani. Con nuove leggi da me proposte
ripristinai molte norme di condotta dei nostri
antenati che ai nostri tempi erano desuete, ed
io stesso ne lasciai in molti campi, da imitare
dai posteri.

[9] Vota pro valetudine mea suscipi per 
consules et sacerdotes quinto quoque anno 
senatus decrevit. Ex iis votis saepe fecerunt 
vivo me ludos aliquotiens sacerdotum quattuor 
amplissima collegia, aliquotiens consules. 
Privatim etiam et municipatim universi cives 
unanimiter continenter apud omnia pulvinaria 
pro valetudine mea supplicaverunt. 
9. Il Senato decretò che venissero fatti dai
consoli e dai sacerdoti voti per la mia salute
ogni cinque anni. In occasione di questi voti, in
vita, talvolta i quattro maggiori collegi
sacerdotali, talvolta i consoli, organizzarono
giochi. Tutti i cittadini in forma privata e
anche ordinati per municipi elevarono
suppliche per la mia salute in modo unanime
ed ininterrotto avanti ad ogni altare.

[10] Nomen meum senatus consulto inclusum 
est in saliare carmen, et sacrosanctus in 
perpetum ut essem et, quoad viverem, 
tribunicia potestas mihi esset, per legem 
sanctum est. Pontifex maximus ne fierem in 
vivi conlegae mei locum, populo id 
sacerdotium deferente mihi quod pater meus 
habuerat, recusavi. Quod sacerdotium aliquod 
post annos, eo mortuo qui civilis motus 
occasione occupaverat, cuncta ex Italia ad 
comitia mea confluente multitudine, quanta 
Romae nunquam fertur ante id tempus fuisse, 
recepi, P. Sulpicio C. Valgio consulibus. 
10. Il mio nome è stato incluso per
senatoconsulto nel Carme Saliare, perché fossi
sacrosanctus in perpetuo, e fu stabilito per
legge [sanctus=sancito] che per tutta la durata
della mia vita avessi la tribunicia potestas.
Rifiutai di divenire Pontefice massimo in
luogo di un collega ancor in vita, dignità che
mi offriva il popolo e che aveva mio padre. Ho
accettato questo sacerdozio alcuni anni dopo,
sotto il consolato di P. Sulpicio e C. Valgio [12
a. C.], essendo morto chi l’aveva occupato in
occasione della guerra civile [Lepido], quando
una moltitudine tale che si disse mai esservi
stata prima affluì ai miei comizi [per la mia
elezione a P.M.].

[11] Aram Fortunae Reducis ante aedes 
Honoris et Virtutis ad portam Capenam pro 
reditu meo senatus consacravit, in qua 
pontifices et virgines Vestales anniversarium 
sacrificium facere iussit eo die quo, consulibus 
Q. Lucretio et M. Vinicio, in urbem ex Syria 
redieram, et diem Augustalia ex cognomine 
nostro appellavit. 
11. Il Senato, per celebrare il mio ritorno,
consacrò un altare alla Fortuna Reduce, avanti
al tempio dell’Onore e della Virtù alla porta
Capena. Sul quale ordinò che i pontefici e le
vergini vestali facessero un sacrificio ogni
anno nel giorno in cui tornai nell’Urbe dalla
Siria, sotto il consolato di Q. Lucrezio e M.
Vinicio [19 a. C.], e diede nome di Augustale a
quel giorno, dal nostro cognomen.
[12] Ex senatus auctoritate pars praetorum et 
tribunorum plebi cum consule Q. Lucretio et
principibus viris obviam mihi missa est in 
Campaniam, qui honos ad hoc tempus nemimi 
praeter me est decretus. Cum ex Hispania 
Galliaque, rebus in iis provincis prospere 
gestis, Romam redi, Ti. Nerone P. Qintilio 
consulibus, aram Pacis Augustae senatus pro 
reditu meo consacrandam censuit ad campum 
Martium, in qua magistratus et sacerdotes 
virginesque Vestales anniversarium 
sacrificium facere iussit. 
12. Per decisione del Senato mi fu mandata
una delegazione di pretori e tribuni della plebe,
con il console Q.Lucrezio e i principali
personaggi, in Campania, onore che fino a
qusto tempo non è stato decretato a nessun
altro. Quando tornai a Roma dalla Gallia e
dalla Spagna, avendo condotto a buon fine le
imprese in quelle province, sotto il consolato
di Tiberio Nerone e di P. Quintilio [13 a.C.], il
Senato stabilì che fosse consacrata per il mio
ritorno l’ara della Pace Augusta nel Campo
Marzio , nella quale ordinò che i magistrati, i
sacerdoti e le vergini vestali facessero ogni
anno un sacrificio.

[13] Ianum Quirinum, quem claussum esse 
maiores nostri voluerunt cum per totum 
imperium populi Romani terra marique esset 
parta victoriis pax, cum priusquam nascerer, a 
condita urbe bis omnino clausum fuisse 
prodatur memoriae, ter me principe senatus 
claudendum esse censuit. 
13. [Il tempio di] Giano Quirinio, che i nostri
antenati vollero che fosse chiuso quando in
tutto l’impero del popolo romano vi fosse pace
a seguito delle vittorie riportate, e del quale si
ricorda che dalla fondazione di Roma alla mia
nascita fosse stato chiuso solo due volte in
tutto, tre volte essendo io principe il Senato
ordinò che fosse chiuso.

[14] Filios meos, quos iuvenes mihi eripuit 
fortuna, Gaium et Lucium Caesares honoris 
mei causa senatus populusque Romanus 
annum quintum et decimum agentis consules 
designavit, ut eum magistratum inirent post 
quinquennium, et ex eo die quo deducti sunt in 
forum ut interessent consiliis publicis decrevit 
senatus. Equites autem Romani universi 
principem iuventutis utrumque eorum parmis 
et hastis argenteis donatum appellaverunt. 
14. I miei figli Gaio e Lucio Cesare [figli di
Giulia, adottati da Augusto nonno materno nel
17 a.C., morti Lucio nel 2 e Gaio nel 4 d.C.],
per farmi onore il Senato e il popolo romano li
nominò consoli designati quando compirono
ciascuno quindici anni, così che entrassero in
carica dopo un quinquennio, e decretò il
Senato che partecipassero ai consigli pubblici
dal giorno che frequentarono il foro [che
rivestirono la toga virile]. Inoltre l’intero
ordine dei cavalieri romani dette loro
l’appellativo di principes iuventutis avendo
donato loro scudi e lance [le armi della
cavalleria] d’argento

[15] Plebei Romanae viritim HS trecenos 
numeravi ex testamento patris mei et nomine 
meo HS quadringenos ex bellorum manibiis 
consul quintum dedi, iterum autem in 
consulatu decimo ex patrimonio meo HS 
quadringenos congiari viritim pernumeravi, et 
consul undecimum duodecim frumentationes 
frumento privatim coempto emensus sum, et 
tribunicia potestate duodecimum quadringenos 
nummos tertium viritim dedi. Quae mea 
congiaria pervenerunt ad hominum millia 
numquam minus quinquaginta et ducenta. 
Tribuniciae potestatis duodevicensimum, 
consul XII, trecentis et viginti millibus plebis 
urbanae sexagenos denarios viritim dedi. Et 
colonis militum meorum consul quintum ex 
manibiis viritim millia nummum singula dedi;
15. Versai alla plebe romana trecento sesterzi
[HS] onorando il testamento di mio padre e ne
detti quattrocento dal bottino di guerra quando
fui console per la quinta volta [29 a.C.], e
durante il mio decimo consolato detti a
ciascuno per una seconda volta [il valore di]
quattrocento sesterzi in generi di consumo
attingendo al mio patrimonio privato, ed
essendo console per l’undicesima volta [23
a.C.] ho provveduto a dodici distribuzioni di
frumento [frumentationes] avendo comprato
[a mie spese] privatamente il frumento; quando
per la dodicesima volta rivestii la potestà
tribunizia, detti per la terza volta quattrocento
sesterzi a ciascuno. Queste distribuzioni da me
fatte hanno riguardato non meno di 250.000
uomini. Essendo rivestito della potestà  12
acceperunt id triumphale congiarium in colonis
hominum circiter centum et viginti millia.
Consul tertium decimum sexagenos denarios
plebei quae tum frumentum publicum
accipiebat dedi; ea millia hominum paullo
plura quam ducenta fuerunt.
tribunizia per la diciottesima e per la
dodicesima volta console [5 a.C.] ho
distribuito sessanta denari a trecentoventi mila
cittadini della plebe urbana. Sotto il mio quinto
consolato [29 a.C.] alle colonie dei miei soldati
distribuii dal bottino di guerra mille monete
[sesterzi] ciascuno; ricevettero questo premio
per il mio trionfo circa centoventimila uomini
nelle colonie. Quando fui console per la
tredicesima volta [2 a.C.] detti sessanta denari
[ciascuno] ai plebei che allora avevano diritto
al[la distribuzione di] frumento pubblico;
questi furono poco più di duecentomila
uomini.

[16] Pecuniam pro agris quos in consulatu meo 
quarto et postea consulibus M. Crasso et Cn. 
Lentulo Augure adsignavi militibus solvi 
municipis; ea summa sestertium circiter 
sexiens milliens fuit quam pro Italicis praedis 
numeravi, et circiter bis milliens et sescentiens 
quod pro agris provincialibus solvi. Id primus 
et solus omnium qui deduxerunt colonias 
militum in Italia aut in provincis ad memoriam 
aetatis meae feci. Et postea, Ti. Nerone et Cn. 
Pisone consulibus itemque C. Antistio et D. 
Laelio cos. et C. Calvisio et L. Pasieno 
consulibus et L. Lentulo et M. Messalla 
consulibus et L. Caninio et Q. Fabricio cos., 
militibus quos emeriteis stipendis in sua 
municipia deduxi praemia numerato persolvi, 
quam in rem sestertium quater milliens circiter 
impendi. 
16. Ho versato ai municipi somme per le terre
che assegnai ai soldati sotto il mio quarto
consolato [30 a.C.] e poi sotto il consolato di
M. Crasso e Cneo Lentulo Augure [14 a. C.];
di questa somma ho pagato circa seicento
milioni di sesterzi per le proprietà in Italia e
circa 260 milioni per le terre provinciali. E ciò
fui il primo e l’unico a farlo tra tutti coloro che
fino alla mia età hanno fondato colonie di
soldati in Italia o nelle province. E
successivamente, sotto il consolato di Tiberio
Nerone e di Cneo Pisone [7 a. C.], poi sotto il
consolato di C. Antistio e di D. Lelio [6 a. C.],
di C. Calvisio e L. Pasieno [4 a. C.], diL.
Lentulo e M. Messalla[3 a. C.], e di L. Caninio
e Q. Fabricio [2 a. C.] ai soldati che alla fine
del loro servizio avevo installato nei loro
municipi ho pagato in contanti il loro premio.
In questa operazione ho speso circa 400
milioni di sesterzi.

[17] Quater pecunia mea iuvi aerarium, ita ut 
sestertium milliens et quingentiens ad eos qui 
praerant aerario detulerim. Et M. Lepido et L. 
Arruntio cos. in aerarium militare, quod ex 
consilio meo constitutum est ex quo praemia 
darentur militibus qui vicena aut plura 
stipendia emeruissent, HS milliens et 
septingentiens ex patrimonio meo detuli. 
17. Quattro volte ho aiutato l’erario con il mio
denaro, cosicché ho consegnato a coloro che
erano preposti ad esso 150 milioni di sesterzi.
Sotto il consolato di M. Lepido e L. Arrunzio
ho versato dal mio patrimonio 170 milioni di
sesterzi all’erario militare, istituito su mia
proposta, per dare i premi [di fine servizio] ai
soldati che avevano servito per venti anni e
più.

[18] Ab eo anno quo Cn. et P. Lentulli 
consules fuerunt, cum deficerent vectigalia, 
tum centum milibus hominum tum pluribus 
multo frumentarios et nummarios tributus ex 
horreo et patrimonio meo edidi. 
18. Dall’anno in cui furono consoli P. e Cn.
Lentulo [18 a. C.], non essendo sufficenti le
imposte, ho provveduto dai miei granai e dal
mio patrimonio alle distribuzioni di frumento e
di monete, ora a centomila uomini, ora a molti
di più.

[19] Curiam et continens ei Chalcidicum 
templumque Apollinis in Palatio cum 
porticibus, aedem divi Iuli, Lupercal, porticum 
ad circum Flaminium, quam sum appellari 
passus ex nomine eius qui priorem eodem in 
solo fecerat, Octaviam, pulvinar ad circum 
maximum, aedes in Capitolio Iovis Feretri 
Iovis Tonantis, aedem Quirini, aedes Minervae 
et Iunonis Reginae et Iovis Libertatis in 
Aventino, aedem Larum in summa sacra via, 
aedem deum Penatium in Velia, aedem 
Iuventatis, aedem Matris Magnae in Palatio 
feci. 
19. Ho costruito la Curia e il contiguo
Calcidico e il tempio di Apollo con i suoi
portici sul Palatino, il tempio del divo Giulio,
il Lupercale, il portico attorno al circo
Flaminio, che ho accettato che fosse chiamato
Ottavio, dal nome di colui che aveva fatto
costruire sullo stesso suolo il precedente
portico, il pulvinar [la tribuna imperiale] al
Circo Massimo, sul Campidoglio i templi di
Giove Feretrio e di Giove Tonante, il tempio di
Quirino, i templi di Minerva e di Giunone
regina e di Giove Libertà sull’Aventino, il
tempio degli dei Lari alla sommità della via
Sacra, il tempio degli dei Penati sulla Velia, il
tempio de la Gioventù e il trmpio della Grande
Madre sul Palatino.

[20] Capitolium et Pompeium theatrum 
utrumque opus impensa grandi refeci sine ulla 
inscriptione nominis mei. Rivos aquarum 
compluribus locis vetustate labentes refeci, et 
aquam quae Marcia appellatur duplicavi fonte 
novo in rivum eius inmisso. Forum Iulium et 
basilicam quae fuit inter aedem Castoris et 
aedem Saturni, coepta profligataque opera a 
patre meo, perfeci et eandem basilicam 
consumptam incendio, ampliato eius solo, sub 
titulo nominis filiorum meorum incohavi, et, si 
vivus non perfecissem, perfici ab heredibus 
meis iussi. Duo et octoginta templa deum in 
urbe consul sextum ex auctoritate senatus 
refeci nullo praetermisso quod eo tempore 
refici debebat. Consul septimum viam 
Flaminiam ab urbe Ariminum refeci pontesque 
omnes praeter Mulvium et Minucium. 
20. Ho ricostruito il Campidoglio e il teatro di
Pompeo, entrambi con grande spesa e senza
che si apponesse alcuna iscrizione con il mio
nome. Ho ricostruito gli acquedotti, in molte
parti deteriorati per la loro antichità, ed ho
duplicato l’acqua Marcia, avendo immesso una
nuova fonte nel suo acquedotto. Ho portato a
termine il foro Giulio e la basilica che si
trovava tra i templi di Castore e di Saturno,
opere iniziate e portate avanti da mio padre, ed
essendo stata distrutta da un incendio quella
basilica ne ho iniziato la ricostruzione
avendone ampliato la superficie, a nome dei
miei figli, ed ho disposto che se non la porterò
a termine durante la mia vita, debba essere
terminata dai miei eredi. Nel mio sesto
consolato, per decisione del Senato, ho fatto
restaurare 82 templi degli dei, non avendo
trascurato nessuno di quelli che ne avevano
bisogno. Essendo console per la settima volta,
ho rifatto la via Flaminia da Roma a Rimini, e
ttti i ponti ad eccezione del ponte Milvio e del
ponte Minucio.

[21] In privato solo Martis Ultoris templum 
forumque Augustum ex manibiis feci. 
Theatrum ad aedem Apollinis in solo magna 
ex parte a privatis empto feci, quod sub 
nomine M. Marcelli generi mei esset. Dona ex 
manibiis in Capitolio et in aede divi Iuli et in 
aede Apollinis et in aede Vestae et in templo 
Martis Ultoris consacravi, quae mihi 
constiterunt HS circiter milliens. Auri coronari 
pondo triginta et quinque millia municipiis et 
colonis Italiae conferentibus ad triumphos 
meos quintum consul remisi, et postea, 
quotienscumque imperator appellatus sum, 
aurum coronarium non accepi decernentibus 
municipiis et colonis aeque benigne adque 
21. Ho edificato, su suolo privato e con il
bottino di guerra, il tempio di Marte Ultore e il
foro d’Augusto. Ho costruito, presso il tempio
di Apollo e su terreno in gran parte acquistato
da privati, un teatro che portasse il nome di
Marcello, mio genero. Ho consacrato doni, che
mi costarono circa un milione di sesterzi, con
il bottino di guerra, sul Campidoglio nei templi
del divo Giulio, di Apollo, di Vesta e di Marte
Ultore. Ho rinunciato al contributo di
trentacinquemila libre dell’aurum coronarium
che mi avevano assegnato i municipi e le
colonie d’Italia per i miei trionfi, e in seguito,
ogni volta che sono stato acclamato imperator,
ho rifiutato l’ aurum coronarium che con la  14
antea decreverant. stessa generosità di prima i municipi e le
colonie mi avevano decretato.

[22] Ter munus gladiatorium dedi meo nomine 
et quinquiens filiorum meorum aut nepotum 
nomine, quibus muneribus depugnaverunt 
hominum circiter decem millia. Bis athletarum 
undique accitorum spectaculum populo 
praebui meo nomine et tertium nepotis mei 
nomine. Ludos feci meo nomine quater, 
aliorum autem magistratuum vicem ter et 
viciens. Pro conlegio XV virorum magister 
conlegii collega M. Agrippa ludos saeclares C. 
Furnio C. Silano cos. feci. Consul XIII ludos 
Martiales primus feci quos post id tempus 
deinceps insequentibus annis s.c. et lege 
fecerunt consules. Venationes bestiarum 
Africanarum meo nomine aut filiorum meorum 
et nepotum in circo aut in foro aut in 
amphitheatris populo dedi sexiens et viciens, 
quibus confecta sunt bestiarum circiter tria 
millia et quingentae. 
22. Ho dato spettacoli di gladiatori, per tre
volte a mio nome e cinque volte a nome dei
miei figli e nipoti, nei quali combatterono circa
diecimila uomini. Due volte ho offerto al
popolo a mio nome ed una volta a nome di mio
nipote, spettacoli di atleti accorsi da ogni parte.
Ho fatto giochi a mio nome per quattro volte, e
e ventitre volte a nome di altri magistrati.
Come maestro del collegio dei Quindecemviri
insieme al collega Agrippa ho fatto celebrare a
nome del collegio i Ludi Saeculares, sotto il
consolato di C. Furnio e C. Silano [17 a.C.].
Essendo console per la tredicesima volta [2 a.
C.], ho organizzato per primo i Ludi di Marte,
che negli anni seguenti, per senatoconsulto i
consoli organizzarono insieme a me. Ventisei
volte ho dato al popolo, a mio nome o in
quello dei miei figli e nipoti, caccie di bestie
Africane, o nel circo, o nel foro o negli
anfiteatri, nelle quali furono uccise circa
tremilacinquecento fiere.

[23] Navalis proeli spectaclum populo dedi 
trans Tiberim in quo loco nunc nemus est 
Caesarum, cavato solo in longitudinem mille et 
octingentos pedes, in latitudinem mille et 
ducenti, in quo triginta rostratae naves triremes 
aut biremes, plures autem minores inter se 
conflixerunt; quibus in classibus pugnaverunt 
praeter remiges millia hominum tria circiter. 
23. Ho dato al popolo lo spettacolo di una
guerra navale al di là del Tevere, dove ora è il
bosco sacro dei Cesari, avendo fatto uno scavo
di milleottocento piedi di lunghezza, per una
larghezza di milleduecento [530 per 353
metri], nel quale si affrontarono trenta navi
rostrate, triremi o biremi, e parecchie minori.
In queste flotte combatterono circa tremila
uomini, oltre i rematori.

[24] In templis omnium civitatium provinciae 
Asiae victor ornamenta reposui quae spoliatis 
templis is cum quo bellum gesseram privatim 
possederat. Statuae meae pedestres et equestres 
et in quadrigeis argenteae steterunt in urbe 
XXC circiter, quas ipse sustuli, exque ea 
pecunia dona aurea in aede Apollinis meo 
nomine et illorum qui mihi statuarum honorem 
habuerunt posui. 
24. Dopo la mia vittoria ho fatto rimettere nei
templi di tuttte le città della provincia d’Asia
gli ornamenti che colui al quale ho mosso
guerra [M. Antonio] aveva preso come sue
cose private. Furono innalzate nell’Urbe circa
quaranta statue mie, a piedi a cavallo o su
quadrighe in argento; che io ho fatto togliere
ed ho posto come doni in oro nel tempio di
Apollo il valore di esse, a mio nome e in nome
di quelli che avevano innalzato le statue in mio
onore.

[25] Mare pacavi a praedonibus. Eo bello 
servorum qui fugerant a dominis suis et arma 
contra rem publicam ceperant triginta fere 
millia capta dominis ad supplicium sumendum 
tradidi. Iuravit in mea verba tota Italia sponte 
sua, et me belli quo vici ad Actium ducem 
depoposcit; iuraverunt in eadem verba 
provinciae Galliae, Hispaniae, Africa, Sicilia, 
25. Liberai il marte dai pirati. Catturai in
quella guerra [36 a. C.] circa 30.000 schiavi,
fuggiti dai loro padroni e armatisi contro la
repubblica e li consegnai per la punizione ai
proprietari. L’Italia intera giurò
volontariamente nelle mie parole, e mi invocò
come duce nella guerra che vinsi ad Azio [31
a. C.]; giurarono nelle stesse parole le province  15
Sardinia. Qui sub signis meis tum militaverint
fuerunt senatores plures quam DCC, in iis qui
vel antea vel postea consules facti sunt ad eum
diem quo scripta sunt haec LXXXIII,
sacerdotes circiter CLXX.
della Gallia, delle Spagne, di Africa, Sicilia
Sardegna. Di coloro che militarono allora sotto
le mie insegne, più di 700 erano senatori, e tra
essi erano stati o furono eletti consoli fino ad
oggi 83, e circa 170 i sacerdoti.

[26] Omnium provinciarum populi Romani 
quibus finitimae fuerunt gentes quae non 
parerent imperio nostro fines auxi. Gallias et 
Hispanias provincias, item Germaniam, qua 
includit Oceanus a Gadibus ad ostium Albis 
fluminis pacavi. Alpes a regione ea quae 
proxima est Hadriano mari ad Tuscum 
pacificavi nulli genti bello per iniuriam inlato. 
Classis mea per Oceanum ab ostio Rheni ad 
solis orientis regionem usque ad fines 
Cimbrorum navigavit, quo neque terra neque 
mari quisquam Romanus ante id tempus adit. 
Cimbrique et Charydes et Semnones et 
eiusdem tractus alii Germanorum populi per 
legatos amicitiam meam et populi Romani 
petierunt. Meo iussu et auspicio ducti sunt duo 
exercitus eodem fere tempore in Aethiopiam et 
in Arabiam quae appellatur Eudaemon, 
magnaeque hostium gentis utriusque copiae 
caesae sunt in acie et complura oppida capta. 
In Aethiopiam usque ad oppidum Nabata 
perventum est, cui proxima est Meroe; in 
Arabiam usque in fines Sabaeorum processit 
exercitus ad oppidum Mariba. 
26. Estesi i territori di tutte le province del
popolo Romano confinanti con popolazioni
non soggette al nostro dominio. Pacificai le
province delle Gallie, delle Spagne e così la
Germania da Cadice fino alle foci dell’Elba.
Le Alpi, dalla regione prossima all’Adriatico
fino al Tirreno, le pacificai senza recare guerra
ingiusta ad alcuna popolazione. La mia flotta
ha navigato per l’Oceano, dalla foce del Reno
alla regione del Sole nascente [ad Est] fino ai
territori dei Cimbri, dove fino ad allora nessun
Romano era arrivato né per terra né per mare. I
Cimbri, i Caridi e i Semnoni ed altre
popolazioni germaniche di quella regione
mandarono ambasciatori a chiedere l’amicizia
mia e del popolo Romano. Quasi nello stesso
tempo sono stati condotti due eserciti, per mio
ordine e sotto i miei auspici, in Etiopia e
nell’Arabia chiamata Felice, e gran numero di
nemici di entrambe le popolazioni cadde in
battaglia, e molte città furono conquistate. In
Etiopia si arrivò fino a Nabata, che è vicina a
Meroe; in Arabia, l’esercito giunse nei territori
dei Sabei, fino alla città di Mariba.

[27] Aegyptum imperio populi Romani adieci. 
Armeniam maiorem interfecto rege eius 
Artaxe cum possem facere provinciam malui 
maiorum nostrorum exemplo regnum id 
Tigrani regis Artavasdis filio, nepoti autem 
Tigranis regis, per Ti. Neronem tradere, qui 
tum mihi privignus erat. Et eandem gentem 
postea desciscentem et rebellantem domitam 
per Gaium filium meum regi Ariobarzani regis 
Medorum Artabazi filio regendam tradidi, et 
post eius mortem filio eius Artavasdi; quo 
interfecto Tigranem qui erat ex regio genere 
Armeniorum oriundus in id regnum misi. 
Provincias omnis quae trans Hadrianum mare 
vergunt ad orientem Cyrenasque, iam ex parte 
magna regibus ea possidentibus, et antea 
Siciliam et Sardiniam occupatas bello servili 
reciperavi. 
27. Aggiunsi l’Egitto al dominio del popolo
Romano [30 a. C.]. Potendo ridurre a provincia
l’Armenia, dopo l’uccisione del suo re Artace,
preferii, seguendo l’esempio dei nostri
antenati, affidare quel regno, per mezzo di
Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro, a
Tigrane, figlio del re Artavasde, e nipote del re
Tigrane. Successivamente quando quella stessa
gente si rivoltò e ribellò e fu sottomessa da
mio figlio Caio, la detti da governare al re
Ariobarzane figlio di Artabaze re dei medi, e
dopo la sua morte a suo figlioArtavasde;
essendo stato ucciso costui, mandai in quel
regno Tigrane, che proveniva dalla famiglia
reale degli Armeni. Riconquistai tutte le
province che si estendono verso oriente al di là
del mare Adriatico e [quella di] Cirene, che
allora erano per la maggior parte possedute da
re, e già prima recuperai la Sicilia e la
Sardegna, occupata durante la guerra servile
[contro Sesto Pompeo].

[28] Colonias in Africa, Sicilia, Macedonia, 
utraque Hispania, Achaia, Asia, Syria, Gallia
Narbonensi, Pisidia militum deduxi. Italia 
autem XXVIII colonias quae vivo me 
celeberrimae et frequentissimae fuerunt mea 
auctoritate deductas habet. 
28. Dedussi colonie di soldati in Africa,
Sicilia, Macedonia, le due Spagne, Acaia,
Asia, Siria, Gallia Narbonense, Pisidia. Inoltre
l’Italiam ha ventotto colonie dedotte in base
alla mia auctoritas, che divennero celeberrime
e popolosissime durante la mia vita.

[29] Signa militaria complura per alios duces 
amissa devictis hostibus recepi ex Hispania et 
Gallia et a Dalmateis. Parthos trium exercitum 
Romanorum spolia et signa reddere mihi 
supplicesque amicitiam populi Romani petere 
coegi. Ea autem signa in penetrali quod est in 
templo Martis Ultoris reposui. 
29. Recuperai, dopo aver vinto i nemici, dalla
Gallia, dalla Spagna e dai Dalmati molte
insegne militari, perse da altri condottieri.
Obbligai i Parti a rendere le spoglie e le
insegne di tre eserciti Romani, e a domandare,
supplici, l’amicizia del popolo Romano.
Queste insegne, le deposi nei penetrali [il
santuario interiore] del tempio di Marte Ultore

[30] Pannoniorum gentes, quas ante me 
principem populi Romani exercitus nunquam 
adit, devictas per Ti. Neronem, qui tum erat 
privignus et legatus meus, imperio populi 
Romani subieci, protulique fines Illyrici ad 
ripam fluminis Danui. Citra quod Dacorum 
transgressus exercitus meis auspicis victus 
profilgatusque est, et postea trans Danuvium 
ductus exercitus meus Dacorum gentes imperia 
populi Romani perferre coegit. 
30. Ho sottomesso al dominio del popolo
Romano le genti della Pannonia, vinte da
Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro e
mio legato, e ho portato i confini dell’Illirico
alle sponde del Danubio. L’esercito dei Daci,
che lo aveva traversato, sotto i miei auspici è
stato vinto e messo in fuga, e successivamente
il mio esercito, condotto oltre il Danubio, ha
costretto i popoli Daci a sottomettersi all’
impero del popolo Romano

[31] Ad me ex India regum legationes saepe 
missae sunt non visae ante id tempus apud 
quemquam Romanorum ducem. Nostram 
amicitiam appetiverunt per legatos Bastarnae 
Scythaeque et Sarmatarum qui sunt citra 
flumen Tanaim et ultra reges, Albanorumque 
rex et Hiberorum et Medorum. 
31. Spesso mi sono state inviate dall’India
ambascerie di re, prima d’allora mai viste
presso alcun condottiero romano. I re dei
Bastarni, degli Sciti e dei Sarmati che sono al
di qua e al di là del Tanai [l’odierno Don]
richiesero, attraverso ambasciatori la nostra
amicizia.

[32] Ad me supplices confugerunt reges 
Parthorum Tiridates et postea Phrates regis 
Phratis filius, Medorum Artavasdes, 
Adiabenorum Artaxares, Britannorum 
Dumnobellaunus et Tincommius, 
Sugambrorum Maelo, Marcomanorum 
Sueborum [?Segime]rus. Ad me rex Parthorum 
Phrates Orodis filius filios suos nepotesque 
omnes misit in Italiam non bello superatus, sed 
amicitiam nostram per liberorum suorum 
pignora petens. Plurimaeque aliae gentes 
expertae sunt p. R. fidem me principe quibus 
antea cum populo Romano nullum extiterat 
legationum et amicitiae commercium. 
32. Si rifugiarono presso di me, supplici, i re
dei Parti Tiridate e poi Frate, figlio del re
Frate, Artavasde dei Medi, Artaxare degli
Adiabeni, Dumnobellauno e Tincommio dei
Britanni, Melo dei Sicambri, Segimero [?] re
dei Marcomanni e degli Svevi. Il re dei Parti
Frate, figlio di Orode, inviò tutti i suoi figli e
nipoti, non perché vinto in guerra, ma per
chiedere la nostra amicizia attraverso il pegno
dei suoi discendenti. Essendo io principe, molti
altri popoli hanno fatto l’esperienza della fides
[lealtà, fiducia, parola] del popolo Romano,,
con i quali in precedenza non vi era stato alcun
scambio di ambascerie e di amicizia.

[33] A me gentes Parthorum et Medorum per 
legatos principes earum gentium reges petitos 
acceperunt: Parthi Vononem, regis Phratis 
filium, regis Orodis nepotem, Medi 
Ariobarzanem, regis Artavazdis filium, regis 
Ariobarzanis nepotem. 
33. Le genti dei parti e dei Medi ricevettero
come re principes [principi, uomini eminenti]
dei loro popoli, avendolo richiesto attraverso
loro ambasciatori: i Parti [ebbero in re]
Vonone, figlio del re Frate, i Medi
Ariobarzane, figlio del re Artavazde e nipote
del re Ariobarzane.  17

[34] In consulatu sexto et septimo, postquam 
bella civilia exstinxeram, per consensum 
universorum potitus rerum omnium, rem 
publicam ex mea potestate in senatus 
populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro 
merito meo senatus consulto Augustus 
appellatus sum et laureis postes aedium 
mearum vestiti publice coronaque civica super 
ianuam meam fixa est et clupeus aureus in 
curia Iulia positus, quem mihi senatum 
populumque Romanum dare virtutis 
clementiaeque et iustitiae et pietatis caussa 
testatum est per eius clupei inscriptionem. Post 
id tempus auctoritate omnibus praestiti, 
potestatis autem nihilo amplius habui quam 
ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae 
fuerunt.
34. Durante il mio sesto e settimo consolato
[28 e 27 a. C.], dopo che ebbi posto fine alle
guerre civili, avendo conseguito per consenso
universale il supremo potere, trasferii la res
publica [la cosa pubblica, la repubblica,
l’ordinamento romano] dalla mia potestà alla
discrezionalità del senato e del popolo
Romano. Per questo mio merito, per
senatoconsulto, ho ricevuto l’appellativo di
Augusto [16 gennaio 27 a. C.]; le porte della
mia casa furono ornate pubblicamente [con
una cerimonia pubblica] di alloro, sopra la
porta d’ingresso fu infissa la corona civica e fu
posto uno scudo d’oro nella curia Gulia, la cui
iscriziona attestava che il senato e il popolo
Romano lo davano a me a motivo del mio
valore, della mia clemenza, della mia giustizia
e della mia pietà [copia in marmo di questo
scudo è al museo di Arles con l’iscrizione:
SENATUS / POPULUSQUE ROMANUS /
IMP(eratori) CAESARI DIVI F(ilio)
AUGUSTO / CO(n)S(uli) VIII DEDIT
CLUPEUM/VIRTUTIS CLEMENTIAE/
IUSTITIAE PIETATIS ERGA / DEOS
PATRIAMQUE, iscrizione che in base agli
anni di consolato si data al 26 a.C.], dopo di
allora fui superiore a tutti per auctoritas, ma
non ebbi maggiore potestà di coloro che mi
furono anche colleghi nelle magistrature.

[35] Tertium decimum consulatum cum 
gerebam, senatus et equester ordo populusque 
Romanus universus appellavit me patrem 
patriae, idque in vestibulo aedium mearum 
inscribendum et in curia Iulia et in foro Aug. 
sub quadrigis quae mihi ex s.c. positae sunt 
censuit. Cum scripsi haec annum agebam 
septuagensumum sextum. 
35. Mentre rivestivo il consolato per la
tredicesima volta, il senato, l’ordine equestre e
l’intero popolo Romano mi acclamarono padre
della patria[5 febbraio del 2 a.C.] e stabilirono
che questo titolo fosse iscritto nel vestibolo
della mia casa, nella curia Giulia e nel foro
d’Augusto, sotto le quadrighe che vi furono
poste, per senatoconsulto, in mio onore. Ho
scritto queste cose quando avevo settantasei
anni [pochi mesi prima della morte, avvenuta a
Nola il 19 agosto del 14 d. C.]


Come si vede chiaramente dalla lettura del testo le Res Gestae volevano essere, oltre e più che una una apologia di Augusto, la ricostruzione della ‘verità ufficiale’ dell’instaurazione del principato e dell’attività del princeps e quindi un “manifesto” programmatico. Augusto, e in questo rivela la sua ‘modernità’, è forse stato il primo ad utilizzare scientemente e in modo diffuso la letteratura, e soprattutto la poesia come propaganda.
In questo documento c'è tutto quello che ci serve; Res Gestae , tacito e persino i poeti augustei


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