e così Augusto accentrò nella sua persona, un po' alla volta, tutti i poteri. La forza dell'esercito era ai suoi ordini e lui teneva saldamente i cordoni della borsa. Molto lo consideravano una divinità.... Ma agì in modo lento, prudente, subdolo, dissimulato. Il regime si faceva portatore erano quelli del così detto mos maiorum, il costume degli antenati:
- la Pace
- la grandezza di Roma
- il valore dell'Agricoltura
- il recupero della Religione tradizionale.
Lui stesso appariva modesto, si presentava come il primo difensore della Repubblica che aveva soffocato con le sue mani. Questo lo dice già il libro di storia e noni stessi abbiamo visto a Roma, alla mostre per il bimillenario della morte di Augusto, come gli artisti avessero contribuito a diffondere quest'immagine un po' idealizzata e un po' distorta del princeps.
Ma le le fonti cosa ci raccontano? Possibile che nessuno si sia accorto delle manovre del regime? Se possiamo immaginarci facilmente un popolo plagiato dalla propaganda siamo increduli di fronte al silenzio degli intellettuali. Saranno stati tutti al soldo del Princeps?
E gli storici di professione cosa ci hanno raccontato?
Le fonti che possiamo leggere sono solo due: gli Annales di Tacito, che odiava tutti gli imperatori, ma scrive 100 anni dopo Augusto e le Res Gestae Divi Augusti, delle quali però possiamo fidarci poco, essendo state scritte di proprio pugno dallo stesso Augusto.
Tuttavia questo abbiamo e da questi testi partiremo. Naturalmente ci leggeremo tutto!
Res Gestae Divi Augusti (Testo latino tratto da www.thelatinlibrary.com/resgestae.html)
Rerum gestarum divi Augusti, quibus orbem
terrarum imperio populi Romani subiecit, et
impensarum quas in rem publicam
populumque Romanum fecit, incisarum in
duabus aheneis pilis, quae sunt Romae positae,
exemplar subiectum.
Esemplare delle Imprese del Divo Augusto,
con le quali sottomise l’orbe all’imperium del
popolo romano e delle spese che fece a favore
della res publica e del popolo romano, incise
in due pilastri di bronzo, posti in Roma.
[1] Annos undeviginti natus exercitum privato
consilio et privata impensa comparavi, per
quem rem publicam a dominatione factionis
oppressam in libertatem vindicavi. [Ob quae]
senatus decretis honorificis in ordinem suum
me adlegit, C. Pansa et A. Hirtio consulibus,
consularem locum sententiae dicendae
tribuens, et imperium mihi dedit. Res publica
ne quid detrimenti caperet, me propraetore
simul cum consulibus providere iussit. Populus
autem eodem anno me consulem, cum cos.
uterque bello cecidisset, et triumvirum rei
publicae constituendae creavit.
1. All’età di diciannove anni apprestai, per
decisione e con spesa privata (a mia iniziativa
e a mie spese), un esercito con il quale liberai
la res publica dal dominio delle fazioni che la
opprimevano. Per la qual cosa il Senato, con
decreti onorifici, mi cooptò nel suo ordine,
sotto il consolato di C. Pansa e A. Hirtio [44
a.C.], attribuendomi la facoltà di parlare quale
consolare, e mi conferì l’imperium. Mi dette
inoltre mandato di provvedere quale propretore
insieme con i consoli a che non vi fose danno
alla res publica [formula del senatus
consultum ultimum, che attribuiva pieni poteri
ai consoli]. Lo stesso anno, essendo morti in
guerra i consoli, il popolo mi nominò console e
triumviro rei publicae constituendae [con il
compito di consolidare/riformare? la res
publica].
[2] Qui parentem meum trucidaverunt, eos in
exilium expuli iudiciis legitimis ultus eorum
facinus, et postea bellum inferentis rei publicae
vici bis acie.
2. Gli uccisori di mio padre [adottivo, C.Giulio
Cesare] mandai in esilio, avendo vendicato con
giudizi legali il loro delitto, e successivamente
- avendo essi mosso guerra alla res publica –
due volte vinsi in battaglia.
[3] Bella terra et mari civilia externaque toto in
orbe terrarum saepe gessi, victorque omnibus
veniam petentibus civibus peperci. Externas
gentes, quibus tuto ignosci potuit, conservare
quam excidere malui. Millia civium
Romanorum sub sacramento meo fuerunt
circiter quingenta. Ex quibus deduxi in
colonias aut remisi in municipia sua stipendis
emeritis millia aliquanto plura quam trecenta,
et iis omnibus agros adsignavi aut pecuniam
pro praemiis militiae dedi. Naves cepi
sescentas praeter eas, si quae minores quam
triremes fuerunt.
3. Condussi spesso per terra e per mare guerre
civili e con altri popoli per tutto l’orbe, e da
vincitore perdonai tutti i cittadini che
chiedevano venia. Preferii far salvi piuttosto
che uccidere gli stranieri dai quali mi resi
conto di poter essere al sicuro. Giurarono per
me [si vincolarono a me col giuramento
militare] circa cinquecentomila cittadini
romani. Di essi, più di trecentomila stanziai in
colonie o feci tornare ai loro municipi avendo
terminato il servizio militare, e a tutti costoro
assegnai campi o soldi. Catturai seicento navi,
oltre quelle che erano più piccole delle trireme.
[4] Bis ovans triumphavi, tris egi curulis
triumphos et appellatus sum viciens et semel
imperator. Cum autem pluris triumphos mihi
senatus decrevisset, iis supersedi. Laurum de
fascibus deposui in Capitolio, votis quae
quoque bello nuncupaveram solutis. Ob res a
4. Due volte ebbi l’ovazione, feci tre trionfi
curuli e ventuno volte fui acclamato imperator
[generale vittorioso]. Avendomi il Senato
decretato ulteriori trionfi, vi rinunziai. Deposi
in Campidoglio l’alloro dai fasci, avendo
adempiuto i voti solennemente pronunziati 9
me aut per legatos meos auspicis meis terra
marique prospere gestas quinquagiens et
quinquiens decrevit senatus supplicandum esse
dis immortalibus. Dies autem, per quos ex
senatus consulto supplicatum est, fuere
DCCCLXXXX. In triumphis meis ducti sunt
ante currum meum reges aut regum liberi
novem. Consul fueram terdeciens, cum
scribebam haec, et agebam septimum et
tricensimum tribuniciae potestatis.
nelle rispettive guerre. Il Senato decretò
cinquantacinque volte suppliche agli dei
immortali per le imprese felicemente condotte
da me o sotto i miei auspici dai miei legati in
terra e in mare. I giorni in cui furono levate
suppliche per senatoconsulto furono 890. Nei
miei trionfi furono condotti avanti al carro del
trionfo nove tra re e figli di re. Fui console per
tredici volte, fino al momento di questo scritto,
il trentasettesimo anno in cui ho rivestito la
tribunicia potestas.
[5] Dictaturam et apsenti et praesenti mihi
delatam et a populo et a senatu, M. Marcello et
L. Arruntio consulibus non accepi. Non
recusavi in summa frumenti penuria
curationem annonae, quam ita administravi, ut
intra paucos dies metu et periclo praesenti
populum universam liberarem impensa et cura
mea. Consulatum quoque tum annuum et
perpetuum mihi delatum non recepi.
5. Essendo consoli M.Marcello e L.Arrunzio
[22 a.C.], rifiutai di accettare la dittatura,
conferitami in mia assenza e poi me presente
dal Senato e dal popolo. Nel periodo di
massima penuria del frumento non ricusai la
cura dell’Annona, cosicché in pochi giorni
liberai dal timore e dal pericolo presente
l’intera città, a mie spese e cure. Non accettai
anche il consolato annuo e quello perpetuo
offertomi.
[6] Consulibus M. Vinicio et Q. Lucretio et
postea P. Lentulo et Cn. Lentulo et tertium
Paullo Fabio Maximo et Q. Tuberone senatu
populoque Romano consentientibus ut curator
legum et morum summa potestate solus
crearer, nullum magistratum contra morem
maiorum delatum recepi. Quae tum per me
geri senatus voluit, per tribuniciam potestatem
perfeci, cuius potestatis conlegam et ipse ultro
quinquiens a senatu depoposci et accepi.
6. Essendo consoli M. Vinicio e Q. Lucrezio
[19 a. C.] e successivamente P. Lentulo e Cn.
Lentulo [18 a. C.] e per la terza volta Paullo
Fabio Massimo e Q. Tuberone [11 a. C.]
avendo convenuto il Senato e il popolo di
Roma che io fossi creato unico curatore con
piena potestà delle leggi e dei costumi, non
accettai alcuna magistratura offertami contro il
mos maiorum. Ciò che il Senato volle che io in
quel tempo gestissi, lo feci giovandomi della
tribunicia potestas, nella quale io stesso chiesi
al Senato un collega e lo ebbi [Agrippa nel 18
e nel 13 a.C., Tiberio nel 12 e nel 6 a.C.].
[7] Triumvirum rei publicae constituendae fui
per continuos annos decem. Princeps senatus
fui usque ad eum diem quo scripseram haec
per annos quadraginta. Pontifex maximus,
augur, XV virum sacris faciundis, VII virum
epulonum, frater arvalis, sodalis Titius, fetialis
fui.
7. Fui triumviro rei publicae constituendae per
dieci anni consecutivi [dal 27 novembre 43 al
31 dicembre 32 a.C]. Sono stato princeps
Senatus fino al giorno in cui scrivo per
quaranta anni [dal 28 a.C.]. Pontefice
massimo, augure, quindicemviro sacris
faciundis [per il compimento dei riti sacri]
settemviro epulonum, sacerdote Arvale,
sacerdote Tizio, feziale.
[8] Patriciorum numerum auxi consul quintum
iussu populi et senatus. Senatum ter legi, et in
consulatu sexto censum populi conlega M.
Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et
quadragensimum feci, quo lustro civium
Romanorum censa sunt capita quadragiens
centum millia et sexaginta tria millia. Tum
iterum consulari cum imperio lustrum solus
8. Durante il mio quinto consolato [29 a. C.]
per ordine del Senato e del popolo aumentai il
numero dei patrizi. Tre volte feci nomine al
Senato e nel sesto consolato, avendo collega
M.Agrippa feci il censimento del popolo [28 a.
C.]. Feci il lustrum [sacrificio di espiazione per
il popolo, fatto dai censori al termine del
proprio mandato] dopo quarantadue anni, nel 10
feci C. Censorino et C. Asinio cos., quo lustro
censa sunt civium Romanorum capita
quadragiens centum millia et ducenta triginta
tria millia. Et tertium consulari cum imperio
lustrum conlega Tib. Caesare filio meo feci
Sex. Pompeio et Sex. Appuleio cos., quo lustro
censa sunt civium Romanorum capitum
quadragiens centum millia et nongenta triginta
et septem millia. Legibus novis me auctore
latis multa exempla maiorum exolescentia iam
ex nostro saeculo reduxi et ipse multarum
rerum exempla imitanda posteris tradidi.
quale lustro furono censiti quattromilioni
sessantatremila cittadini romani. Avendo
l’imperium consolare per la seconda volta, feci
da solo il lustro, essendo consoli C. Censorino
e C. Asinio [8 a. C.], e in quel lustro furono
censiti quattromilioniduecentotrentatremila
cittadini romani. Rivestendo l’imperium
consolare per la terza volta, avendo come
collega mio figlio Tiberio Cesare, lo feci sotto
il consolato di Sesto Pompeo e Sesto Appuleio
[14 d. C.] , ed in quel lustro furono censiti
quattromilioninovecentotrentamila cittadini
romani. Con nuove leggi da me proposte
ripristinai molte norme di condotta dei nostri
antenati che ai nostri tempi erano desuete, ed
io stesso ne lasciai in molti campi, da imitare
dai posteri.
[9] Vota pro valetudine mea suscipi per
consules et sacerdotes quinto quoque anno
senatus decrevit. Ex iis votis saepe fecerunt
vivo me ludos aliquotiens sacerdotum quattuor
amplissima collegia, aliquotiens consules.
Privatim etiam et municipatim universi cives
unanimiter continenter apud omnia pulvinaria
pro valetudine mea supplicaverunt.
9. Il Senato decretò che venissero fatti dai
consoli e dai sacerdoti voti per la mia salute
ogni cinque anni. In occasione di questi voti, in
vita, talvolta i quattro maggiori collegi
sacerdotali, talvolta i consoli, organizzarono
giochi. Tutti i cittadini in forma privata e
anche ordinati per municipi elevarono
suppliche per la mia salute in modo unanime
ed ininterrotto avanti ad ogni altare.
[10] Nomen meum senatus consulto inclusum
est in saliare carmen, et sacrosanctus in
perpetum ut essem et, quoad viverem,
tribunicia potestas mihi esset, per legem
sanctum est. Pontifex maximus ne fierem in
vivi conlegae mei locum, populo id
sacerdotium deferente mihi quod pater meus
habuerat, recusavi. Quod sacerdotium aliquod
post annos, eo mortuo qui civilis motus
occasione occupaverat, cuncta ex Italia ad
comitia mea confluente multitudine, quanta
Romae nunquam fertur ante id tempus fuisse,
recepi, P. Sulpicio C. Valgio consulibus.
10. Il mio nome è stato incluso per
senatoconsulto nel Carme Saliare, perché fossi
sacrosanctus in perpetuo, e fu stabilito per
legge [sanctus=sancito] che per tutta la durata
della mia vita avessi la tribunicia potestas.
Rifiutai di divenire Pontefice massimo in
luogo di un collega ancor in vita, dignità che
mi offriva il popolo e che aveva mio padre. Ho
accettato questo sacerdozio alcuni anni dopo,
sotto il consolato di P. Sulpicio e C. Valgio [12
a. C.], essendo morto chi l’aveva occupato in
occasione della guerra civile [Lepido], quando
una moltitudine tale che si disse mai esservi
stata prima affluì ai miei comizi [per la mia
elezione a P.M.].
[11] Aram Fortunae Reducis ante aedes
Honoris et Virtutis ad portam Capenam pro
reditu meo senatus consacravit, in qua
pontifices et virgines Vestales anniversarium
sacrificium facere iussit eo die quo, consulibus
Q. Lucretio et M. Vinicio, in urbem ex Syria
redieram, et diem Augustalia ex cognomine
nostro appellavit.
11. Il Senato, per celebrare il mio ritorno,
consacrò un altare alla Fortuna Reduce, avanti
al tempio dell’Onore e della Virtù alla porta
Capena. Sul quale ordinò che i pontefici e le
vergini vestali facessero un sacrificio ogni
anno nel giorno in cui tornai nell’Urbe dalla
Siria, sotto il consolato di Q. Lucrezio e M.
Vinicio [19 a. C.], e diede nome di Augustale a
quel giorno, dal nostro cognomen.
[12] Ex senatus auctoritate pars praetorum et
tribunorum plebi cum consule Q. Lucretio et
principibus viris obviam mihi missa est in
Campaniam, qui honos ad hoc tempus nemimi
praeter me est decretus. Cum ex Hispania
Galliaque, rebus in iis provincis prospere
gestis, Romam redi, Ti. Nerone P. Qintilio
consulibus, aram Pacis Augustae senatus pro
reditu meo consacrandam censuit ad campum
Martium, in qua magistratus et sacerdotes
virginesque Vestales anniversarium
sacrificium facere iussit.
12. Per decisione del Senato mi fu mandata
una delegazione di pretori e tribuni della plebe,
con il console Q.Lucrezio e i principali
personaggi, in Campania, onore che fino a
qusto tempo non è stato decretato a nessun
altro. Quando tornai a Roma dalla Gallia e
dalla Spagna, avendo condotto a buon fine le
imprese in quelle province, sotto il consolato
di Tiberio Nerone e di P. Quintilio [13 a.C.], il
Senato stabilì che fosse consacrata per il mio
ritorno l’ara della Pace Augusta nel Campo
Marzio , nella quale ordinò che i magistrati, i
sacerdoti e le vergini vestali facessero ogni
anno un sacrificio.
[13] Ianum Quirinum, quem claussum esse
maiores nostri voluerunt cum per totum
imperium populi Romani terra marique esset
parta victoriis pax, cum priusquam nascerer, a
condita urbe bis omnino clausum fuisse
prodatur memoriae, ter me principe senatus
claudendum esse censuit.
13. [Il tempio di] Giano Quirinio, che i nostri
antenati vollero che fosse chiuso quando in
tutto l’impero del popolo romano vi fosse pace
a seguito delle vittorie riportate, e del quale si
ricorda che dalla fondazione di Roma alla mia
nascita fosse stato chiuso solo due volte in
tutto, tre volte essendo io principe il Senato
ordinò che fosse chiuso.
[14] Filios meos, quos iuvenes mihi eripuit
fortuna, Gaium et Lucium Caesares honoris
mei causa senatus populusque Romanus
annum quintum et decimum agentis consules
designavit, ut eum magistratum inirent post
quinquennium, et ex eo die quo deducti sunt in
forum ut interessent consiliis publicis decrevit
senatus. Equites autem Romani universi
principem iuventutis utrumque eorum parmis
et hastis argenteis donatum appellaverunt.
14. I miei figli Gaio e Lucio Cesare [figli di
Giulia, adottati da Augusto nonno materno nel
17 a.C., morti Lucio nel 2 e Gaio nel 4 d.C.],
per farmi onore il Senato e il popolo romano li
nominò consoli designati quando compirono
ciascuno quindici anni, così che entrassero in
carica dopo un quinquennio, e decretò il
Senato che partecipassero ai consigli pubblici
dal giorno che frequentarono il foro [che
rivestirono la toga virile]. Inoltre l’intero
ordine dei cavalieri romani dette loro
l’appellativo di principes iuventutis avendo
donato loro scudi e lance [le armi della
cavalleria] d’argento
[15] Plebei Romanae viritim HS trecenos
numeravi ex testamento patris mei et nomine
meo HS quadringenos ex bellorum manibiis
consul quintum dedi, iterum autem in
consulatu decimo ex patrimonio meo HS
quadringenos congiari viritim pernumeravi, et
consul undecimum duodecim frumentationes
frumento privatim coempto emensus sum, et
tribunicia potestate duodecimum quadringenos
nummos tertium viritim dedi. Quae mea
congiaria pervenerunt ad hominum millia
numquam minus quinquaginta et ducenta.
Tribuniciae potestatis duodevicensimum,
consul XII, trecentis et viginti millibus plebis
urbanae sexagenos denarios viritim dedi. Et
colonis militum meorum consul quintum ex
manibiis viritim millia nummum singula dedi;
15. Versai alla plebe romana trecento sesterzi
[HS] onorando il testamento di mio padre e ne
detti quattrocento dal bottino di guerra quando
fui console per la quinta volta [29 a.C.], e
durante il mio decimo consolato detti a
ciascuno per una seconda volta [il valore di]
quattrocento sesterzi in generi di consumo
attingendo al mio patrimonio privato, ed
essendo console per l’undicesima volta [23
a.C.] ho provveduto a dodici distribuzioni di
frumento [frumentationes] avendo comprato
[a mie spese] privatamente il frumento; quando
per la dodicesima volta rivestii la potestà
tribunizia, detti per la terza volta quattrocento
sesterzi a ciascuno. Queste distribuzioni da me
fatte hanno riguardato non meno di 250.000
uomini. Essendo rivestito della potestà 12
acceperunt id triumphale congiarium in colonis
hominum circiter centum et viginti millia.
Consul tertium decimum sexagenos denarios
plebei quae tum frumentum publicum
accipiebat dedi; ea millia hominum paullo
plura quam ducenta fuerunt.
tribunizia per la diciottesima e per la
dodicesima volta console [5 a.C.] ho
distribuito sessanta denari a trecentoventi mila
cittadini della plebe urbana. Sotto il mio quinto
consolato [29 a.C.] alle colonie dei miei soldati
distribuii dal bottino di guerra mille monete
[sesterzi] ciascuno; ricevettero questo premio
per il mio trionfo circa centoventimila uomini
nelle colonie. Quando fui console per la
tredicesima volta [2 a.C.] detti sessanta denari
[ciascuno] ai plebei che allora avevano diritto
al[la distribuzione di] frumento pubblico;
questi furono poco più di duecentomila
uomini.
[16] Pecuniam pro agris quos in consulatu meo
quarto et postea consulibus M. Crasso et Cn.
Lentulo Augure adsignavi militibus solvi
municipis; ea summa sestertium circiter
sexiens milliens fuit quam pro Italicis praedis
numeravi, et circiter bis milliens et sescentiens
quod pro agris provincialibus solvi. Id primus
et solus omnium qui deduxerunt colonias
militum in Italia aut in provincis ad memoriam
aetatis meae feci. Et postea, Ti. Nerone et Cn.
Pisone consulibus itemque C. Antistio et D.
Laelio cos. et C. Calvisio et L. Pasieno
consulibus et L. Lentulo et M. Messalla
consulibus et L. Caninio et Q. Fabricio cos.,
militibus quos emeriteis stipendis in sua
municipia deduxi praemia numerato persolvi,
quam in rem sestertium quater milliens circiter
impendi.
16. Ho versato ai municipi somme per le terre
che assegnai ai soldati sotto il mio quarto
consolato [30 a.C.] e poi sotto il consolato di
M. Crasso e Cneo Lentulo Augure [14 a. C.];
di questa somma ho pagato circa seicento
milioni di sesterzi per le proprietà in Italia e
circa 260 milioni per le terre provinciali. E ciò
fui il primo e l’unico a farlo tra tutti coloro che
fino alla mia età hanno fondato colonie di
soldati in Italia o nelle province. E
successivamente, sotto il consolato di Tiberio
Nerone e di Cneo Pisone [7 a. C.], poi sotto il
consolato di C. Antistio e di D. Lelio [6 a. C.],
di C. Calvisio e L. Pasieno [4 a. C.], diL.
Lentulo e M. Messalla[3 a. C.], e di L. Caninio
e Q. Fabricio [2 a. C.] ai soldati che alla fine
del loro servizio avevo installato nei loro
municipi ho pagato in contanti il loro premio.
In questa operazione ho speso circa 400
milioni di sesterzi.
[17] Quater pecunia mea iuvi aerarium, ita ut
sestertium milliens et quingentiens ad eos qui
praerant aerario detulerim. Et M. Lepido et L.
Arruntio cos. in aerarium militare, quod ex
consilio meo constitutum est ex quo praemia
darentur militibus qui vicena aut plura
stipendia emeruissent, HS milliens et
septingentiens ex patrimonio meo detuli.
17. Quattro volte ho aiutato l’erario con il mio
denaro, cosicché ho consegnato a coloro che
erano preposti ad esso 150 milioni di sesterzi.
Sotto il consolato di M. Lepido e L. Arrunzio
ho versato dal mio patrimonio 170 milioni di
sesterzi all’erario militare, istituito su mia
proposta, per dare i premi [di fine servizio] ai
soldati che avevano servito per venti anni e
più.
[18] Ab eo anno quo Cn. et P. Lentulli
consules fuerunt, cum deficerent vectigalia,
tum centum milibus hominum tum pluribus
multo frumentarios et nummarios tributus ex
horreo et patrimonio meo edidi.
18. Dall’anno in cui furono consoli P. e Cn.
Lentulo [18 a. C.], non essendo sufficenti le
imposte, ho provveduto dai miei granai e dal
mio patrimonio alle distribuzioni di frumento e
di monete, ora a centomila uomini, ora a molti
di più.
[19] Curiam et continens ei Chalcidicum
templumque Apollinis in Palatio cum
porticibus, aedem divi Iuli, Lupercal, porticum
ad circum Flaminium, quam sum appellari
passus ex nomine eius qui priorem eodem in
solo fecerat, Octaviam, pulvinar ad circum
maximum, aedes in Capitolio Iovis Feretri
Iovis Tonantis, aedem Quirini, aedes Minervae
et Iunonis Reginae et Iovis Libertatis in
Aventino, aedem Larum in summa sacra via,
aedem deum Penatium in Velia, aedem
Iuventatis, aedem Matris Magnae in Palatio
feci.
19. Ho costruito la Curia e il contiguo
Calcidico e il tempio di Apollo con i suoi
portici sul Palatino, il tempio del divo Giulio,
il Lupercale, il portico attorno al circo
Flaminio, che ho accettato che fosse chiamato
Ottavio, dal nome di colui che aveva fatto
costruire sullo stesso suolo il precedente
portico, il pulvinar [la tribuna imperiale] al
Circo Massimo, sul Campidoglio i templi di
Giove Feretrio e di Giove Tonante, il tempio di
Quirino, i templi di Minerva e di Giunone
regina e di Giove Libertà sull’Aventino, il
tempio degli dei Lari alla sommità della via
Sacra, il tempio degli dei Penati sulla Velia, il
tempio de la Gioventù e il trmpio della Grande
Madre sul Palatino.
[20] Capitolium et Pompeium theatrum
utrumque opus impensa grandi refeci sine ulla
inscriptione nominis mei. Rivos aquarum
compluribus locis vetustate labentes refeci, et
aquam quae Marcia appellatur duplicavi fonte
novo in rivum eius inmisso. Forum Iulium et
basilicam quae fuit inter aedem Castoris et
aedem Saturni, coepta profligataque opera a
patre meo, perfeci et eandem basilicam
consumptam incendio, ampliato eius solo, sub
titulo nominis filiorum meorum incohavi, et, si
vivus non perfecissem, perfici ab heredibus
meis iussi. Duo et octoginta templa deum in
urbe consul sextum ex auctoritate senatus
refeci nullo praetermisso quod eo tempore
refici debebat. Consul septimum viam
Flaminiam ab urbe Ariminum refeci pontesque
omnes praeter Mulvium et Minucium.
20. Ho ricostruito il Campidoglio e il teatro di
Pompeo, entrambi con grande spesa e senza
che si apponesse alcuna iscrizione con il mio
nome. Ho ricostruito gli acquedotti, in molte
parti deteriorati per la loro antichità, ed ho
duplicato l’acqua Marcia, avendo immesso una
nuova fonte nel suo acquedotto. Ho portato a
termine il foro Giulio e la basilica che si
trovava tra i templi di Castore e di Saturno,
opere iniziate e portate avanti da mio padre, ed
essendo stata distrutta da un incendio quella
basilica ne ho iniziato la ricostruzione
avendone ampliato la superficie, a nome dei
miei figli, ed ho disposto che se non la porterò
a termine durante la mia vita, debba essere
terminata dai miei eredi. Nel mio sesto
consolato, per decisione del Senato, ho fatto
restaurare 82 templi degli dei, non avendo
trascurato nessuno di quelli che ne avevano
bisogno. Essendo console per la settima volta,
ho rifatto la via Flaminia da Roma a Rimini, e
ttti i ponti ad eccezione del ponte Milvio e del
ponte Minucio.
[21] In privato solo Martis Ultoris templum
forumque Augustum ex manibiis feci.
Theatrum ad aedem Apollinis in solo magna
ex parte a privatis empto feci, quod sub
nomine M. Marcelli generi mei esset. Dona ex
manibiis in Capitolio et in aede divi Iuli et in
aede Apollinis et in aede Vestae et in templo
Martis Ultoris consacravi, quae mihi
constiterunt HS circiter milliens. Auri coronari
pondo triginta et quinque millia municipiis et
colonis Italiae conferentibus ad triumphos
meos quintum consul remisi, et postea,
quotienscumque imperator appellatus sum,
aurum coronarium non accepi decernentibus
municipiis et colonis aeque benigne adque
21. Ho edificato, su suolo privato e con il
bottino di guerra, il tempio di Marte Ultore e il
foro d’Augusto. Ho costruito, presso il tempio
di Apollo e su terreno in gran parte acquistato
da privati, un teatro che portasse il nome di
Marcello, mio genero. Ho consacrato doni, che
mi costarono circa un milione di sesterzi, con
il bottino di guerra, sul Campidoglio nei templi
del divo Giulio, di Apollo, di Vesta e di Marte
Ultore. Ho rinunciato al contributo di
trentacinquemila libre dell’aurum coronarium
che mi avevano assegnato i municipi e le
colonie d’Italia per i miei trionfi, e in seguito,
ogni volta che sono stato acclamato imperator,
ho rifiutato l’ aurum coronarium che con la 14
antea decreverant. stessa generosità di prima i municipi e le
colonie mi avevano decretato.
[22] Ter munus gladiatorium dedi meo nomine
et quinquiens filiorum meorum aut nepotum
nomine, quibus muneribus depugnaverunt
hominum circiter decem millia. Bis athletarum
undique accitorum spectaculum populo
praebui meo nomine et tertium nepotis mei
nomine. Ludos feci meo nomine quater,
aliorum autem magistratuum vicem ter et
viciens. Pro conlegio XV virorum magister
conlegii collega M. Agrippa ludos saeclares C.
Furnio C. Silano cos. feci. Consul XIII ludos
Martiales primus feci quos post id tempus
deinceps insequentibus annis s.c. et lege
fecerunt consules. Venationes bestiarum
Africanarum meo nomine aut filiorum meorum
et nepotum in circo aut in foro aut in
amphitheatris populo dedi sexiens et viciens,
quibus confecta sunt bestiarum circiter tria
millia et quingentae.
22. Ho dato spettacoli di gladiatori, per tre
volte a mio nome e cinque volte a nome dei
miei figli e nipoti, nei quali combatterono circa
diecimila uomini. Due volte ho offerto al
popolo a mio nome ed una volta a nome di mio
nipote, spettacoli di atleti accorsi da ogni parte.
Ho fatto giochi a mio nome per quattro volte, e
e ventitre volte a nome di altri magistrati.
Come maestro del collegio dei Quindecemviri
insieme al collega Agrippa ho fatto celebrare a
nome del collegio i Ludi Saeculares, sotto il
consolato di C. Furnio e C. Silano [17 a.C.].
Essendo console per la tredicesima volta [2 a.
C.], ho organizzato per primo i Ludi di Marte,
che negli anni seguenti, per senatoconsulto i
consoli organizzarono insieme a me. Ventisei
volte ho dato al popolo, a mio nome o in
quello dei miei figli e nipoti, caccie di bestie
Africane, o nel circo, o nel foro o negli
anfiteatri, nelle quali furono uccise circa
tremilacinquecento fiere.
[23] Navalis proeli spectaclum populo dedi
trans Tiberim in quo loco nunc nemus est
Caesarum, cavato solo in longitudinem mille et
octingentos pedes, in latitudinem mille et
ducenti, in quo triginta rostratae naves triremes
aut biremes, plures autem minores inter se
conflixerunt; quibus in classibus pugnaverunt
praeter remiges millia hominum tria circiter.
23. Ho dato al popolo lo spettacolo di una
guerra navale al di là del Tevere, dove ora è il
bosco sacro dei Cesari, avendo fatto uno scavo
di milleottocento piedi di lunghezza, per una
larghezza di milleduecento [530 per 353
metri], nel quale si affrontarono trenta navi
rostrate, triremi o biremi, e parecchie minori.
In queste flotte combatterono circa tremila
uomini, oltre i rematori.
[24] In templis omnium civitatium provinciae
Asiae victor ornamenta reposui quae spoliatis
templis is cum quo bellum gesseram privatim
possederat. Statuae meae pedestres et equestres
et in quadrigeis argenteae steterunt in urbe
XXC circiter, quas ipse sustuli, exque ea
pecunia dona aurea in aede Apollinis meo
nomine et illorum qui mihi statuarum honorem
habuerunt posui.
24. Dopo la mia vittoria ho fatto rimettere nei
templi di tuttte le città della provincia d’Asia
gli ornamenti che colui al quale ho mosso
guerra [M. Antonio] aveva preso come sue
cose private. Furono innalzate nell’Urbe circa
quaranta statue mie, a piedi a cavallo o su
quadrighe in argento; che io ho fatto togliere
ed ho posto come doni in oro nel tempio di
Apollo il valore di esse, a mio nome e in nome
di quelli che avevano innalzato le statue in mio
onore.
[25] Mare pacavi a praedonibus. Eo bello
servorum qui fugerant a dominis suis et arma
contra rem publicam ceperant triginta fere
millia capta dominis ad supplicium sumendum
tradidi. Iuravit in mea verba tota Italia sponte
sua, et me belli quo vici ad Actium ducem
depoposcit; iuraverunt in eadem verba
provinciae Galliae, Hispaniae, Africa, Sicilia,
25. Liberai il marte dai pirati. Catturai in
quella guerra [36 a. C.] circa 30.000 schiavi,
fuggiti dai loro padroni e armatisi contro la
repubblica e li consegnai per la punizione ai
proprietari. L’Italia intera giurò
volontariamente nelle mie parole, e mi invocò
come duce nella guerra che vinsi ad Azio [31
a. C.]; giurarono nelle stesse parole le province 15
Sardinia. Qui sub signis meis tum militaverint
fuerunt senatores plures quam DCC, in iis qui
vel antea vel postea consules facti sunt ad eum
diem quo scripta sunt haec LXXXIII,
sacerdotes circiter CLXX.
della Gallia, delle Spagne, di Africa, Sicilia
Sardegna. Di coloro che militarono allora sotto
le mie insegne, più di 700 erano senatori, e tra
essi erano stati o furono eletti consoli fino ad
oggi 83, e circa 170 i sacerdoti.
[26] Omnium provinciarum populi Romani
quibus finitimae fuerunt gentes quae non
parerent imperio nostro fines auxi. Gallias et
Hispanias provincias, item Germaniam, qua
includit Oceanus a Gadibus ad ostium Albis
fluminis pacavi. Alpes a regione ea quae
proxima est Hadriano mari ad Tuscum
pacificavi nulli genti bello per iniuriam inlato.
Classis mea per Oceanum ab ostio Rheni ad
solis orientis regionem usque ad fines
Cimbrorum navigavit, quo neque terra neque
mari quisquam Romanus ante id tempus adit.
Cimbrique et Charydes et Semnones et
eiusdem tractus alii Germanorum populi per
legatos amicitiam meam et populi Romani
petierunt. Meo iussu et auspicio ducti sunt duo
exercitus eodem fere tempore in Aethiopiam et
in Arabiam quae appellatur Eudaemon,
magnaeque hostium gentis utriusque copiae
caesae sunt in acie et complura oppida capta.
In Aethiopiam usque ad oppidum Nabata
perventum est, cui proxima est Meroe; in
Arabiam usque in fines Sabaeorum processit
exercitus ad oppidum Mariba.
26. Estesi i territori di tutte le province del
popolo Romano confinanti con popolazioni
non soggette al nostro dominio. Pacificai le
province delle Gallie, delle Spagne e così la
Germania da Cadice fino alle foci dell’Elba.
Le Alpi, dalla regione prossima all’Adriatico
fino al Tirreno, le pacificai senza recare guerra
ingiusta ad alcuna popolazione. La mia flotta
ha navigato per l’Oceano, dalla foce del Reno
alla regione del Sole nascente [ad Est] fino ai
territori dei Cimbri, dove fino ad allora nessun
Romano era arrivato né per terra né per mare. I
Cimbri, i Caridi e i Semnoni ed altre
popolazioni germaniche di quella regione
mandarono ambasciatori a chiedere l’amicizia
mia e del popolo Romano. Quasi nello stesso
tempo sono stati condotti due eserciti, per mio
ordine e sotto i miei auspici, in Etiopia e
nell’Arabia chiamata Felice, e gran numero di
nemici di entrambe le popolazioni cadde in
battaglia, e molte città furono conquistate. In
Etiopia si arrivò fino a Nabata, che è vicina a
Meroe; in Arabia, l’esercito giunse nei territori
dei Sabei, fino alla città di Mariba.
[27] Aegyptum imperio populi Romani adieci.
Armeniam maiorem interfecto rege eius
Artaxe cum possem facere provinciam malui
maiorum nostrorum exemplo regnum id
Tigrani regis Artavasdis filio, nepoti autem
Tigranis regis, per Ti. Neronem tradere, qui
tum mihi privignus erat. Et eandem gentem
postea desciscentem et rebellantem domitam
per Gaium filium meum regi Ariobarzani regis
Medorum Artabazi filio regendam tradidi, et
post eius mortem filio eius Artavasdi; quo
interfecto Tigranem qui erat ex regio genere
Armeniorum oriundus in id regnum misi.
Provincias omnis quae trans Hadrianum mare
vergunt ad orientem Cyrenasque, iam ex parte
magna regibus ea possidentibus, et antea
Siciliam et Sardiniam occupatas bello servili
reciperavi.
27. Aggiunsi l’Egitto al dominio del popolo
Romano [30 a. C.]. Potendo ridurre a provincia
l’Armenia, dopo l’uccisione del suo re Artace,
preferii, seguendo l’esempio dei nostri
antenati, affidare quel regno, per mezzo di
Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro, a
Tigrane, figlio del re Artavasde, e nipote del re
Tigrane. Successivamente quando quella stessa
gente si rivoltò e ribellò e fu sottomessa da
mio figlio Caio, la detti da governare al re
Ariobarzane figlio di Artabaze re dei medi, e
dopo la sua morte a suo figlioArtavasde;
essendo stato ucciso costui, mandai in quel
regno Tigrane, che proveniva dalla famiglia
reale degli Armeni. Riconquistai tutte le
province che si estendono verso oriente al di là
del mare Adriatico e [quella di] Cirene, che
allora erano per la maggior parte possedute da
re, e già prima recuperai la Sicilia e la
Sardegna, occupata durante la guerra servile
[contro Sesto Pompeo].
[28] Colonias in Africa, Sicilia, Macedonia,
utraque Hispania, Achaia, Asia, Syria, Gallia
Narbonensi, Pisidia militum deduxi. Italia
autem XXVIII colonias quae vivo me
celeberrimae et frequentissimae fuerunt mea
auctoritate deductas habet.
28. Dedussi colonie di soldati in Africa,
Sicilia, Macedonia, le due Spagne, Acaia,
Asia, Siria, Gallia Narbonense, Pisidia. Inoltre
l’Italiam ha ventotto colonie dedotte in base
alla mia auctoritas, che divennero celeberrime
e popolosissime durante la mia vita.
[29] Signa militaria complura per alios duces
amissa devictis hostibus recepi ex Hispania et
Gallia et a Dalmateis. Parthos trium exercitum
Romanorum spolia et signa reddere mihi
supplicesque amicitiam populi Romani petere
coegi. Ea autem signa in penetrali quod est in
templo Martis Ultoris reposui.
29. Recuperai, dopo aver vinto i nemici, dalla
Gallia, dalla Spagna e dai Dalmati molte
insegne militari, perse da altri condottieri.
Obbligai i Parti a rendere le spoglie e le
insegne di tre eserciti Romani, e a domandare,
supplici, l’amicizia del popolo Romano.
Queste insegne, le deposi nei penetrali [il
santuario interiore] del tempio di Marte Ultore
[30] Pannoniorum gentes, quas ante me
principem populi Romani exercitus nunquam
adit, devictas per Ti. Neronem, qui tum erat
privignus et legatus meus, imperio populi
Romani subieci, protulique fines Illyrici ad
ripam fluminis Danui. Citra quod Dacorum
transgressus exercitus meis auspicis victus
profilgatusque est, et postea trans Danuvium
ductus exercitus meus Dacorum gentes imperia
populi Romani perferre coegit.
30. Ho sottomesso al dominio del popolo
Romano le genti della Pannonia, vinte da
Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro e
mio legato, e ho portato i confini dell’Illirico
alle sponde del Danubio. L’esercito dei Daci,
che lo aveva traversato, sotto i miei auspici è
stato vinto e messo in fuga, e successivamente
il mio esercito, condotto oltre il Danubio, ha
costretto i popoli Daci a sottomettersi all’
impero del popolo Romano
[31] Ad me ex India regum legationes saepe
missae sunt non visae ante id tempus apud
quemquam Romanorum ducem. Nostram
amicitiam appetiverunt per legatos Bastarnae
Scythaeque et Sarmatarum qui sunt citra
flumen Tanaim et ultra reges, Albanorumque
rex et Hiberorum et Medorum.
31. Spesso mi sono state inviate dall’India
ambascerie di re, prima d’allora mai viste
presso alcun condottiero romano. I re dei
Bastarni, degli Sciti e dei Sarmati che sono al
di qua e al di là del Tanai [l’odierno Don]
richiesero, attraverso ambasciatori la nostra
amicizia.
[32] Ad me supplices confugerunt reges
Parthorum Tiridates et postea Phrates regis
Phratis filius, Medorum Artavasdes,
Adiabenorum Artaxares, Britannorum
Dumnobellaunus et Tincommius,
Sugambrorum Maelo, Marcomanorum
Sueborum [?Segime]rus. Ad me rex Parthorum
Phrates Orodis filius filios suos nepotesque
omnes misit in Italiam non bello superatus, sed
amicitiam nostram per liberorum suorum
pignora petens. Plurimaeque aliae gentes
expertae sunt p. R. fidem me principe quibus
antea cum populo Romano nullum extiterat
legationum et amicitiae commercium.
32. Si rifugiarono presso di me, supplici, i re
dei Parti Tiridate e poi Frate, figlio del re
Frate, Artavasde dei Medi, Artaxare degli
Adiabeni, Dumnobellauno e Tincommio dei
Britanni, Melo dei Sicambri, Segimero [?] re
dei Marcomanni e degli Svevi. Il re dei Parti
Frate, figlio di Orode, inviò tutti i suoi figli e
nipoti, non perché vinto in guerra, ma per
chiedere la nostra amicizia attraverso il pegno
dei suoi discendenti. Essendo io principe, molti
altri popoli hanno fatto l’esperienza della fides
[lealtà, fiducia, parola] del popolo Romano,,
con i quali in precedenza non vi era stato alcun
scambio di ambascerie e di amicizia.
[33] A me gentes Parthorum et Medorum per
legatos principes earum gentium reges petitos
acceperunt: Parthi Vononem, regis Phratis
filium, regis Orodis nepotem, Medi
Ariobarzanem, regis Artavazdis filium, regis
Ariobarzanis nepotem.
33. Le genti dei parti e dei Medi ricevettero
come re principes [principi, uomini eminenti]
dei loro popoli, avendolo richiesto attraverso
loro ambasciatori: i Parti [ebbero in re]
Vonone, figlio del re Frate, i Medi
Ariobarzane, figlio del re Artavazde e nipote
del re Ariobarzane. 17
[34] In consulatu sexto et septimo, postquam
bella civilia exstinxeram, per consensum
universorum potitus rerum omnium, rem
publicam ex mea potestate in senatus
populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro
merito meo senatus consulto Augustus
appellatus sum et laureis postes aedium
mearum vestiti publice coronaque civica super
ianuam meam fixa est et clupeus aureus in
curia Iulia positus, quem mihi senatum
populumque Romanum dare virtutis
clementiaeque et iustitiae et pietatis caussa
testatum est per eius clupei inscriptionem. Post
id tempus auctoritate omnibus praestiti,
potestatis autem nihilo amplius habui quam
ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae
fuerunt.
34. Durante il mio sesto e settimo consolato
[28 e 27 a. C.], dopo che ebbi posto fine alle
guerre civili, avendo conseguito per consenso
universale il supremo potere, trasferii la res
publica [la cosa pubblica, la repubblica,
l’ordinamento romano] dalla mia potestà alla
discrezionalità del senato e del popolo
Romano. Per questo mio merito, per
senatoconsulto, ho ricevuto l’appellativo di
Augusto [16 gennaio 27 a. C.]; le porte della
mia casa furono ornate pubblicamente [con
una cerimonia pubblica] di alloro, sopra la
porta d’ingresso fu infissa la corona civica e fu
posto uno scudo d’oro nella curia Gulia, la cui
iscriziona attestava che il senato e il popolo
Romano lo davano a me a motivo del mio
valore, della mia clemenza, della mia giustizia
e della mia pietà [copia in marmo di questo
scudo è al museo di Arles con l’iscrizione:
SENATUS / POPULUSQUE ROMANUS /
IMP(eratori) CAESARI DIVI F(ilio)
AUGUSTO / CO(n)S(uli) VIII DEDIT
CLUPEUM/VIRTUTIS CLEMENTIAE/
IUSTITIAE PIETATIS ERGA / DEOS
PATRIAMQUE, iscrizione che in base agli
anni di consolato si data al 26 a.C.], dopo di
allora fui superiore a tutti per auctoritas, ma
non ebbi maggiore potestà di coloro che mi
furono anche colleghi nelle magistrature.
[35] Tertium decimum consulatum cum
gerebam, senatus et equester ordo populusque
Romanus universus appellavit me patrem
patriae, idque in vestibulo aedium mearum
inscribendum et in curia Iulia et in foro Aug.
sub quadrigis quae mihi ex s.c. positae sunt
censuit. Cum scripsi haec annum agebam
septuagensumum sextum.
35. Mentre rivestivo il consolato per la
tredicesima volta, il senato, l’ordine equestre e
l’intero popolo Romano mi acclamarono padre
della patria[5 febbraio del 2 a.C.] e stabilirono
che questo titolo fosse iscritto nel vestibolo
della mia casa, nella curia Giulia e nel foro
d’Augusto, sotto le quadrighe che vi furono
poste, per senatoconsulto, in mio onore. Ho
scritto queste cose quando avevo settantasei
anni [pochi mesi prima della morte, avvenuta a
Nola il 19 agosto del 14 d. C.]
Come si vede chiaramente dalla lettura del testo le Res Gestae volevano essere, oltre e più che una una apologia di Augusto, la ricostruzione della ‘verità ufficiale’ dell’instaurazione del principato e dell’attività del princeps e quindi un “manifesto” programmatico. Augusto, e in questo rivela la sua ‘modernità’, è forse stato il primo ad utilizzare scientemente e in modo diffuso la letteratura, e soprattutto la poesia come propaganda.
Lui stesso appariva modesto, si presentava come il primo difensore della Repubblica che aveva soffocato con le sue mani. Questo lo dice già il libro di storia e noni stessi abbiamo visto a Roma, alla mostre per il bimillenario della morte di Augusto, come gli artisti avessero contribuito a diffondere quest'immagine un po' idealizzata e un po' distorta del princeps.
Ma le le fonti cosa ci raccontano? Possibile che nessuno si sia accorto delle manovre del regime? Se possiamo immaginarci facilmente un popolo plagiato dalla propaganda siamo increduli di fronte al silenzio degli intellettuali. Saranno stati tutti al soldo del Princeps?
E gli storici di professione cosa ci hanno raccontato?
Le fonti che possiamo leggere sono solo due: gli Annales di Tacito, che odiava tutti gli imperatori, ma scrive 100 anni dopo Augusto e le Res Gestae Divi Augusti, delle quali però possiamo fidarci poco, essendo state scritte di proprio pugno dallo stesso Augusto.
Tuttavia questo abbiamo e da questi testi partiremo. Naturalmente ci leggeremo tutto!
Res Gestae Divi Augusti (Testo latino tratto da www.thelatinlibrary.com/resgestae.html)
Rerum gestarum divi Augusti, quibus orbem
terrarum imperio populi Romani subiecit, et
impensarum quas in rem publicam
populumque Romanum fecit, incisarum in
duabus aheneis pilis, quae sunt Romae positae,
exemplar subiectum.
Esemplare delle Imprese del Divo Augusto,
con le quali sottomise l’orbe all’imperium del
popolo romano e delle spese che fece a favore
della res publica e del popolo romano, incise
in due pilastri di bronzo, posti in Roma.
[1] Annos undeviginti natus exercitum privato
consilio et privata impensa comparavi, per
quem rem publicam a dominatione factionis
oppressam in libertatem vindicavi. [Ob quae]
senatus decretis honorificis in ordinem suum
me adlegit, C. Pansa et A. Hirtio consulibus,
consularem locum sententiae dicendae
tribuens, et imperium mihi dedit. Res publica
ne quid detrimenti caperet, me propraetore
simul cum consulibus providere iussit. Populus
autem eodem anno me consulem, cum cos.
uterque bello cecidisset, et triumvirum rei
publicae constituendae creavit.
1. All’età di diciannove anni apprestai, per
decisione e con spesa privata (a mia iniziativa
e a mie spese), un esercito con il quale liberai
la res publica dal dominio delle fazioni che la
opprimevano. Per la qual cosa il Senato, con
decreti onorifici, mi cooptò nel suo ordine,
sotto il consolato di C. Pansa e A. Hirtio [44
a.C.], attribuendomi la facoltà di parlare quale
consolare, e mi conferì l’imperium. Mi dette
inoltre mandato di provvedere quale propretore
insieme con i consoli a che non vi fose danno
alla res publica [formula del senatus
consultum ultimum, che attribuiva pieni poteri
ai consoli]. Lo stesso anno, essendo morti in
guerra i consoli, il popolo mi nominò console e
triumviro rei publicae constituendae [con il
compito di consolidare/riformare? la res
publica].
[2] Qui parentem meum trucidaverunt, eos in
exilium expuli iudiciis legitimis ultus eorum
facinus, et postea bellum inferentis rei publicae
vici bis acie.
2. Gli uccisori di mio padre [adottivo, C.Giulio
Cesare] mandai in esilio, avendo vendicato con
giudizi legali il loro delitto, e successivamente
- avendo essi mosso guerra alla res publica –
due volte vinsi in battaglia.
[3] Bella terra et mari civilia externaque toto in
orbe terrarum saepe gessi, victorque omnibus
veniam petentibus civibus peperci. Externas
gentes, quibus tuto ignosci potuit, conservare
quam excidere malui. Millia civium
Romanorum sub sacramento meo fuerunt
circiter quingenta. Ex quibus deduxi in
colonias aut remisi in municipia sua stipendis
emeritis millia aliquanto plura quam trecenta,
et iis omnibus agros adsignavi aut pecuniam
pro praemiis militiae dedi. Naves cepi
sescentas praeter eas, si quae minores quam
triremes fuerunt.
3. Condussi spesso per terra e per mare guerre
civili e con altri popoli per tutto l’orbe, e da
vincitore perdonai tutti i cittadini che
chiedevano venia. Preferii far salvi piuttosto
che uccidere gli stranieri dai quali mi resi
conto di poter essere al sicuro. Giurarono per
me [si vincolarono a me col giuramento
militare] circa cinquecentomila cittadini
romani. Di essi, più di trecentomila stanziai in
colonie o feci tornare ai loro municipi avendo
terminato il servizio militare, e a tutti costoro
assegnai campi o soldi. Catturai seicento navi,
oltre quelle che erano più piccole delle trireme.
[4] Bis ovans triumphavi, tris egi curulis
triumphos et appellatus sum viciens et semel
imperator. Cum autem pluris triumphos mihi
senatus decrevisset, iis supersedi. Laurum de
fascibus deposui in Capitolio, votis quae
quoque bello nuncupaveram solutis. Ob res a
4. Due volte ebbi l’ovazione, feci tre trionfi
curuli e ventuno volte fui acclamato imperator
[generale vittorioso]. Avendomi il Senato
decretato ulteriori trionfi, vi rinunziai. Deposi
in Campidoglio l’alloro dai fasci, avendo
adempiuto i voti solennemente pronunziati 9
me aut per legatos meos auspicis meis terra
marique prospere gestas quinquagiens et
quinquiens decrevit senatus supplicandum esse
dis immortalibus. Dies autem, per quos ex
senatus consulto supplicatum est, fuere
DCCCLXXXX. In triumphis meis ducti sunt
ante currum meum reges aut regum liberi
novem. Consul fueram terdeciens, cum
scribebam haec, et agebam septimum et
tricensimum tribuniciae potestatis.
nelle rispettive guerre. Il Senato decretò
cinquantacinque volte suppliche agli dei
immortali per le imprese felicemente condotte
da me o sotto i miei auspici dai miei legati in
terra e in mare. I giorni in cui furono levate
suppliche per senatoconsulto furono 890. Nei
miei trionfi furono condotti avanti al carro del
trionfo nove tra re e figli di re. Fui console per
tredici volte, fino al momento di questo scritto,
il trentasettesimo anno in cui ho rivestito la
tribunicia potestas.
[5] Dictaturam et apsenti et praesenti mihi
delatam et a populo et a senatu, M. Marcello et
L. Arruntio consulibus non accepi. Non
recusavi in summa frumenti penuria
curationem annonae, quam ita administravi, ut
intra paucos dies metu et periclo praesenti
populum universam liberarem impensa et cura
mea. Consulatum quoque tum annuum et
perpetuum mihi delatum non recepi.
5. Essendo consoli M.Marcello e L.Arrunzio
[22 a.C.], rifiutai di accettare la dittatura,
conferitami in mia assenza e poi me presente
dal Senato e dal popolo. Nel periodo di
massima penuria del frumento non ricusai la
cura dell’Annona, cosicché in pochi giorni
liberai dal timore e dal pericolo presente
l’intera città, a mie spese e cure. Non accettai
anche il consolato annuo e quello perpetuo
offertomi.
[6] Consulibus M. Vinicio et Q. Lucretio et
postea P. Lentulo et Cn. Lentulo et tertium
Paullo Fabio Maximo et Q. Tuberone senatu
populoque Romano consentientibus ut curator
legum et morum summa potestate solus
crearer, nullum magistratum contra morem
maiorum delatum recepi. Quae tum per me
geri senatus voluit, per tribuniciam potestatem
perfeci, cuius potestatis conlegam et ipse ultro
quinquiens a senatu depoposci et accepi.
6. Essendo consoli M. Vinicio e Q. Lucrezio
[19 a. C.] e successivamente P. Lentulo e Cn.
Lentulo [18 a. C.] e per la terza volta Paullo
Fabio Massimo e Q. Tuberone [11 a. C.]
avendo convenuto il Senato e il popolo di
Roma che io fossi creato unico curatore con
piena potestà delle leggi e dei costumi, non
accettai alcuna magistratura offertami contro il
mos maiorum. Ciò che il Senato volle che io in
quel tempo gestissi, lo feci giovandomi della
tribunicia potestas, nella quale io stesso chiesi
al Senato un collega e lo ebbi [Agrippa nel 18
e nel 13 a.C., Tiberio nel 12 e nel 6 a.C.].
[7] Triumvirum rei publicae constituendae fui
per continuos annos decem. Princeps senatus
fui usque ad eum diem quo scripseram haec
per annos quadraginta. Pontifex maximus,
augur, XV virum sacris faciundis, VII virum
epulonum, frater arvalis, sodalis Titius, fetialis
fui.
7. Fui triumviro rei publicae constituendae per
dieci anni consecutivi [dal 27 novembre 43 al
31 dicembre 32 a.C]. Sono stato princeps
Senatus fino al giorno in cui scrivo per
quaranta anni [dal 28 a.C.]. Pontefice
massimo, augure, quindicemviro sacris
faciundis [per il compimento dei riti sacri]
settemviro epulonum, sacerdote Arvale,
sacerdote Tizio, feziale.
[8] Patriciorum numerum auxi consul quintum
iussu populi et senatus. Senatum ter legi, et in
consulatu sexto censum populi conlega M.
Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et
quadragensimum feci, quo lustro civium
Romanorum censa sunt capita quadragiens
centum millia et sexaginta tria millia. Tum
iterum consulari cum imperio lustrum solus
8. Durante il mio quinto consolato [29 a. C.]
per ordine del Senato e del popolo aumentai il
numero dei patrizi. Tre volte feci nomine al
Senato e nel sesto consolato, avendo collega
M.Agrippa feci il censimento del popolo [28 a.
C.]. Feci il lustrum [sacrificio di espiazione per
il popolo, fatto dai censori al termine del
proprio mandato] dopo quarantadue anni, nel 10
feci C. Censorino et C. Asinio cos., quo lustro
censa sunt civium Romanorum capita
quadragiens centum millia et ducenta triginta
tria millia. Et tertium consulari cum imperio
lustrum conlega Tib. Caesare filio meo feci
Sex. Pompeio et Sex. Appuleio cos., quo lustro
censa sunt civium Romanorum capitum
quadragiens centum millia et nongenta triginta
et septem millia. Legibus novis me auctore
latis multa exempla maiorum exolescentia iam
ex nostro saeculo reduxi et ipse multarum
rerum exempla imitanda posteris tradidi.
quale lustro furono censiti quattromilioni
sessantatremila cittadini romani. Avendo
l’imperium consolare per la seconda volta, feci
da solo il lustro, essendo consoli C. Censorino
e C. Asinio [8 a. C.], e in quel lustro furono
censiti quattromilioniduecentotrentatremila
cittadini romani. Rivestendo l’imperium
consolare per la terza volta, avendo come
collega mio figlio Tiberio Cesare, lo feci sotto
il consolato di Sesto Pompeo e Sesto Appuleio
[14 d. C.] , ed in quel lustro furono censiti
quattromilioninovecentotrentamila cittadini
romani. Con nuove leggi da me proposte
ripristinai molte norme di condotta dei nostri
antenati che ai nostri tempi erano desuete, ed
io stesso ne lasciai in molti campi, da imitare
dai posteri.
[9] Vota pro valetudine mea suscipi per
consules et sacerdotes quinto quoque anno
senatus decrevit. Ex iis votis saepe fecerunt
vivo me ludos aliquotiens sacerdotum quattuor
amplissima collegia, aliquotiens consules.
Privatim etiam et municipatim universi cives
unanimiter continenter apud omnia pulvinaria
pro valetudine mea supplicaverunt.
9. Il Senato decretò che venissero fatti dai
consoli e dai sacerdoti voti per la mia salute
ogni cinque anni. In occasione di questi voti, in
vita, talvolta i quattro maggiori collegi
sacerdotali, talvolta i consoli, organizzarono
giochi. Tutti i cittadini in forma privata e
anche ordinati per municipi elevarono
suppliche per la mia salute in modo unanime
ed ininterrotto avanti ad ogni altare.
[10] Nomen meum senatus consulto inclusum
est in saliare carmen, et sacrosanctus in
perpetum ut essem et, quoad viverem,
tribunicia potestas mihi esset, per legem
sanctum est. Pontifex maximus ne fierem in
vivi conlegae mei locum, populo id
sacerdotium deferente mihi quod pater meus
habuerat, recusavi. Quod sacerdotium aliquod
post annos, eo mortuo qui civilis motus
occasione occupaverat, cuncta ex Italia ad
comitia mea confluente multitudine, quanta
Romae nunquam fertur ante id tempus fuisse,
recepi, P. Sulpicio C. Valgio consulibus.
10. Il mio nome è stato incluso per
senatoconsulto nel Carme Saliare, perché fossi
sacrosanctus in perpetuo, e fu stabilito per
legge [sanctus=sancito] che per tutta la durata
della mia vita avessi la tribunicia potestas.
Rifiutai di divenire Pontefice massimo in
luogo di un collega ancor in vita, dignità che
mi offriva il popolo e che aveva mio padre. Ho
accettato questo sacerdozio alcuni anni dopo,
sotto il consolato di P. Sulpicio e C. Valgio [12
a. C.], essendo morto chi l’aveva occupato in
occasione della guerra civile [Lepido], quando
una moltitudine tale che si disse mai esservi
stata prima affluì ai miei comizi [per la mia
elezione a P.M.].
[11] Aram Fortunae Reducis ante aedes
Honoris et Virtutis ad portam Capenam pro
reditu meo senatus consacravit, in qua
pontifices et virgines Vestales anniversarium
sacrificium facere iussit eo die quo, consulibus
Q. Lucretio et M. Vinicio, in urbem ex Syria
redieram, et diem Augustalia ex cognomine
nostro appellavit.
11. Il Senato, per celebrare il mio ritorno,
consacrò un altare alla Fortuna Reduce, avanti
al tempio dell’Onore e della Virtù alla porta
Capena. Sul quale ordinò che i pontefici e le
vergini vestali facessero un sacrificio ogni
anno nel giorno in cui tornai nell’Urbe dalla
Siria, sotto il consolato di Q. Lucrezio e M.
Vinicio [19 a. C.], e diede nome di Augustale a
quel giorno, dal nostro cognomen.
[12] Ex senatus auctoritate pars praetorum et
tribunorum plebi cum consule Q. Lucretio et
principibus viris obviam mihi missa est in
Campaniam, qui honos ad hoc tempus nemimi
praeter me est decretus. Cum ex Hispania
Galliaque, rebus in iis provincis prospere
gestis, Romam redi, Ti. Nerone P. Qintilio
consulibus, aram Pacis Augustae senatus pro
reditu meo consacrandam censuit ad campum
Martium, in qua magistratus et sacerdotes
virginesque Vestales anniversarium
sacrificium facere iussit.
12. Per decisione del Senato mi fu mandata
una delegazione di pretori e tribuni della plebe,
con il console Q.Lucrezio e i principali
personaggi, in Campania, onore che fino a
qusto tempo non è stato decretato a nessun
altro. Quando tornai a Roma dalla Gallia e
dalla Spagna, avendo condotto a buon fine le
imprese in quelle province, sotto il consolato
di Tiberio Nerone e di P. Quintilio [13 a.C.], il
Senato stabilì che fosse consacrata per il mio
ritorno l’ara della Pace Augusta nel Campo
Marzio , nella quale ordinò che i magistrati, i
sacerdoti e le vergini vestali facessero ogni
anno un sacrificio.
[13] Ianum Quirinum, quem claussum esse
maiores nostri voluerunt cum per totum
imperium populi Romani terra marique esset
parta victoriis pax, cum priusquam nascerer, a
condita urbe bis omnino clausum fuisse
prodatur memoriae, ter me principe senatus
claudendum esse censuit.
13. [Il tempio di] Giano Quirinio, che i nostri
antenati vollero che fosse chiuso quando in
tutto l’impero del popolo romano vi fosse pace
a seguito delle vittorie riportate, e del quale si
ricorda che dalla fondazione di Roma alla mia
nascita fosse stato chiuso solo due volte in
tutto, tre volte essendo io principe il Senato
ordinò che fosse chiuso.
[14] Filios meos, quos iuvenes mihi eripuit
fortuna, Gaium et Lucium Caesares honoris
mei causa senatus populusque Romanus
annum quintum et decimum agentis consules
designavit, ut eum magistratum inirent post
quinquennium, et ex eo die quo deducti sunt in
forum ut interessent consiliis publicis decrevit
senatus. Equites autem Romani universi
principem iuventutis utrumque eorum parmis
et hastis argenteis donatum appellaverunt.
14. I miei figli Gaio e Lucio Cesare [figli di
Giulia, adottati da Augusto nonno materno nel
17 a.C., morti Lucio nel 2 e Gaio nel 4 d.C.],
per farmi onore il Senato e il popolo romano li
nominò consoli designati quando compirono
ciascuno quindici anni, così che entrassero in
carica dopo un quinquennio, e decretò il
Senato che partecipassero ai consigli pubblici
dal giorno che frequentarono il foro [che
rivestirono la toga virile]. Inoltre l’intero
ordine dei cavalieri romani dette loro
l’appellativo di principes iuventutis avendo
donato loro scudi e lance [le armi della
cavalleria] d’argento
[15] Plebei Romanae viritim HS trecenos
numeravi ex testamento patris mei et nomine
meo HS quadringenos ex bellorum manibiis
consul quintum dedi, iterum autem in
consulatu decimo ex patrimonio meo HS
quadringenos congiari viritim pernumeravi, et
consul undecimum duodecim frumentationes
frumento privatim coempto emensus sum, et
tribunicia potestate duodecimum quadringenos
nummos tertium viritim dedi. Quae mea
congiaria pervenerunt ad hominum millia
numquam minus quinquaginta et ducenta.
Tribuniciae potestatis duodevicensimum,
consul XII, trecentis et viginti millibus plebis
urbanae sexagenos denarios viritim dedi. Et
colonis militum meorum consul quintum ex
manibiis viritim millia nummum singula dedi;
15. Versai alla plebe romana trecento sesterzi
[HS] onorando il testamento di mio padre e ne
detti quattrocento dal bottino di guerra quando
fui console per la quinta volta [29 a.C.], e
durante il mio decimo consolato detti a
ciascuno per una seconda volta [il valore di]
quattrocento sesterzi in generi di consumo
attingendo al mio patrimonio privato, ed
essendo console per l’undicesima volta [23
a.C.] ho provveduto a dodici distribuzioni di
frumento [frumentationes] avendo comprato
[a mie spese] privatamente il frumento; quando
per la dodicesima volta rivestii la potestà
tribunizia, detti per la terza volta quattrocento
sesterzi a ciascuno. Queste distribuzioni da me
fatte hanno riguardato non meno di 250.000
uomini. Essendo rivestito della potestà 12
acceperunt id triumphale congiarium in colonis
hominum circiter centum et viginti millia.
Consul tertium decimum sexagenos denarios
plebei quae tum frumentum publicum
accipiebat dedi; ea millia hominum paullo
plura quam ducenta fuerunt.
tribunizia per la diciottesima e per la
dodicesima volta console [5 a.C.] ho
distribuito sessanta denari a trecentoventi mila
cittadini della plebe urbana. Sotto il mio quinto
consolato [29 a.C.] alle colonie dei miei soldati
distribuii dal bottino di guerra mille monete
[sesterzi] ciascuno; ricevettero questo premio
per il mio trionfo circa centoventimila uomini
nelle colonie. Quando fui console per la
tredicesima volta [2 a.C.] detti sessanta denari
[ciascuno] ai plebei che allora avevano diritto
al[la distribuzione di] frumento pubblico;
questi furono poco più di duecentomila
uomini.
[16] Pecuniam pro agris quos in consulatu meo
quarto et postea consulibus M. Crasso et Cn.
Lentulo Augure adsignavi militibus solvi
municipis; ea summa sestertium circiter
sexiens milliens fuit quam pro Italicis praedis
numeravi, et circiter bis milliens et sescentiens
quod pro agris provincialibus solvi. Id primus
et solus omnium qui deduxerunt colonias
militum in Italia aut in provincis ad memoriam
aetatis meae feci. Et postea, Ti. Nerone et Cn.
Pisone consulibus itemque C. Antistio et D.
Laelio cos. et C. Calvisio et L. Pasieno
consulibus et L. Lentulo et M. Messalla
consulibus et L. Caninio et Q. Fabricio cos.,
militibus quos emeriteis stipendis in sua
municipia deduxi praemia numerato persolvi,
quam in rem sestertium quater milliens circiter
impendi.
16. Ho versato ai municipi somme per le terre
che assegnai ai soldati sotto il mio quarto
consolato [30 a.C.] e poi sotto il consolato di
M. Crasso e Cneo Lentulo Augure [14 a. C.];
di questa somma ho pagato circa seicento
milioni di sesterzi per le proprietà in Italia e
circa 260 milioni per le terre provinciali. E ciò
fui il primo e l’unico a farlo tra tutti coloro che
fino alla mia età hanno fondato colonie di
soldati in Italia o nelle province. E
successivamente, sotto il consolato di Tiberio
Nerone e di Cneo Pisone [7 a. C.], poi sotto il
consolato di C. Antistio e di D. Lelio [6 a. C.],
di C. Calvisio e L. Pasieno [4 a. C.], diL.
Lentulo e M. Messalla[3 a. C.], e di L. Caninio
e Q. Fabricio [2 a. C.] ai soldati che alla fine
del loro servizio avevo installato nei loro
municipi ho pagato in contanti il loro premio.
In questa operazione ho speso circa 400
milioni di sesterzi.
[17] Quater pecunia mea iuvi aerarium, ita ut
sestertium milliens et quingentiens ad eos qui
praerant aerario detulerim. Et M. Lepido et L.
Arruntio cos. in aerarium militare, quod ex
consilio meo constitutum est ex quo praemia
darentur militibus qui vicena aut plura
stipendia emeruissent, HS milliens et
septingentiens ex patrimonio meo detuli.
17. Quattro volte ho aiutato l’erario con il mio
denaro, cosicché ho consegnato a coloro che
erano preposti ad esso 150 milioni di sesterzi.
Sotto il consolato di M. Lepido e L. Arrunzio
ho versato dal mio patrimonio 170 milioni di
sesterzi all’erario militare, istituito su mia
proposta, per dare i premi [di fine servizio] ai
soldati che avevano servito per venti anni e
più.
[18] Ab eo anno quo Cn. et P. Lentulli
consules fuerunt, cum deficerent vectigalia,
tum centum milibus hominum tum pluribus
multo frumentarios et nummarios tributus ex
horreo et patrimonio meo edidi.
18. Dall’anno in cui furono consoli P. e Cn.
Lentulo [18 a. C.], non essendo sufficenti le
imposte, ho provveduto dai miei granai e dal
mio patrimonio alle distribuzioni di frumento e
di monete, ora a centomila uomini, ora a molti
di più.
[19] Curiam et continens ei Chalcidicum
templumque Apollinis in Palatio cum
porticibus, aedem divi Iuli, Lupercal, porticum
ad circum Flaminium, quam sum appellari
passus ex nomine eius qui priorem eodem in
solo fecerat, Octaviam, pulvinar ad circum
maximum, aedes in Capitolio Iovis Feretri
Iovis Tonantis, aedem Quirini, aedes Minervae
et Iunonis Reginae et Iovis Libertatis in
Aventino, aedem Larum in summa sacra via,
aedem deum Penatium in Velia, aedem
Iuventatis, aedem Matris Magnae in Palatio
feci.
19. Ho costruito la Curia e il contiguo
Calcidico e il tempio di Apollo con i suoi
portici sul Palatino, il tempio del divo Giulio,
il Lupercale, il portico attorno al circo
Flaminio, che ho accettato che fosse chiamato
Ottavio, dal nome di colui che aveva fatto
costruire sullo stesso suolo il precedente
portico, il pulvinar [la tribuna imperiale] al
Circo Massimo, sul Campidoglio i templi di
Giove Feretrio e di Giove Tonante, il tempio di
Quirino, i templi di Minerva e di Giunone
regina e di Giove Libertà sull’Aventino, il
tempio degli dei Lari alla sommità della via
Sacra, il tempio degli dei Penati sulla Velia, il
tempio de la Gioventù e il trmpio della Grande
Madre sul Palatino.
[20] Capitolium et Pompeium theatrum
utrumque opus impensa grandi refeci sine ulla
inscriptione nominis mei. Rivos aquarum
compluribus locis vetustate labentes refeci, et
aquam quae Marcia appellatur duplicavi fonte
novo in rivum eius inmisso. Forum Iulium et
basilicam quae fuit inter aedem Castoris et
aedem Saturni, coepta profligataque opera a
patre meo, perfeci et eandem basilicam
consumptam incendio, ampliato eius solo, sub
titulo nominis filiorum meorum incohavi, et, si
vivus non perfecissem, perfici ab heredibus
meis iussi. Duo et octoginta templa deum in
urbe consul sextum ex auctoritate senatus
refeci nullo praetermisso quod eo tempore
refici debebat. Consul septimum viam
Flaminiam ab urbe Ariminum refeci pontesque
omnes praeter Mulvium et Minucium.
20. Ho ricostruito il Campidoglio e il teatro di
Pompeo, entrambi con grande spesa e senza
che si apponesse alcuna iscrizione con il mio
nome. Ho ricostruito gli acquedotti, in molte
parti deteriorati per la loro antichità, ed ho
duplicato l’acqua Marcia, avendo immesso una
nuova fonte nel suo acquedotto. Ho portato a
termine il foro Giulio e la basilica che si
trovava tra i templi di Castore e di Saturno,
opere iniziate e portate avanti da mio padre, ed
essendo stata distrutta da un incendio quella
basilica ne ho iniziato la ricostruzione
avendone ampliato la superficie, a nome dei
miei figli, ed ho disposto che se non la porterò
a termine durante la mia vita, debba essere
terminata dai miei eredi. Nel mio sesto
consolato, per decisione del Senato, ho fatto
restaurare 82 templi degli dei, non avendo
trascurato nessuno di quelli che ne avevano
bisogno. Essendo console per la settima volta,
ho rifatto la via Flaminia da Roma a Rimini, e
ttti i ponti ad eccezione del ponte Milvio e del
ponte Minucio.
[21] In privato solo Martis Ultoris templum
forumque Augustum ex manibiis feci.
Theatrum ad aedem Apollinis in solo magna
ex parte a privatis empto feci, quod sub
nomine M. Marcelli generi mei esset. Dona ex
manibiis in Capitolio et in aede divi Iuli et in
aede Apollinis et in aede Vestae et in templo
Martis Ultoris consacravi, quae mihi
constiterunt HS circiter milliens. Auri coronari
pondo triginta et quinque millia municipiis et
colonis Italiae conferentibus ad triumphos
meos quintum consul remisi, et postea,
quotienscumque imperator appellatus sum,
aurum coronarium non accepi decernentibus
municipiis et colonis aeque benigne adque
21. Ho edificato, su suolo privato e con il
bottino di guerra, il tempio di Marte Ultore e il
foro d’Augusto. Ho costruito, presso il tempio
di Apollo e su terreno in gran parte acquistato
da privati, un teatro che portasse il nome di
Marcello, mio genero. Ho consacrato doni, che
mi costarono circa un milione di sesterzi, con
il bottino di guerra, sul Campidoglio nei templi
del divo Giulio, di Apollo, di Vesta e di Marte
Ultore. Ho rinunciato al contributo di
trentacinquemila libre dell’aurum coronarium
che mi avevano assegnato i municipi e le
colonie d’Italia per i miei trionfi, e in seguito,
ogni volta che sono stato acclamato imperator,
ho rifiutato l’ aurum coronarium che con la 14
antea decreverant. stessa generosità di prima i municipi e le
colonie mi avevano decretato.
[22] Ter munus gladiatorium dedi meo nomine
et quinquiens filiorum meorum aut nepotum
nomine, quibus muneribus depugnaverunt
hominum circiter decem millia. Bis athletarum
undique accitorum spectaculum populo
praebui meo nomine et tertium nepotis mei
nomine. Ludos feci meo nomine quater,
aliorum autem magistratuum vicem ter et
viciens. Pro conlegio XV virorum magister
conlegii collega M. Agrippa ludos saeclares C.
Furnio C. Silano cos. feci. Consul XIII ludos
Martiales primus feci quos post id tempus
deinceps insequentibus annis s.c. et lege
fecerunt consules. Venationes bestiarum
Africanarum meo nomine aut filiorum meorum
et nepotum in circo aut in foro aut in
amphitheatris populo dedi sexiens et viciens,
quibus confecta sunt bestiarum circiter tria
millia et quingentae.
22. Ho dato spettacoli di gladiatori, per tre
volte a mio nome e cinque volte a nome dei
miei figli e nipoti, nei quali combatterono circa
diecimila uomini. Due volte ho offerto al
popolo a mio nome ed una volta a nome di mio
nipote, spettacoli di atleti accorsi da ogni parte.
Ho fatto giochi a mio nome per quattro volte, e
e ventitre volte a nome di altri magistrati.
Come maestro del collegio dei Quindecemviri
insieme al collega Agrippa ho fatto celebrare a
nome del collegio i Ludi Saeculares, sotto il
consolato di C. Furnio e C. Silano [17 a.C.].
Essendo console per la tredicesima volta [2 a.
C.], ho organizzato per primo i Ludi di Marte,
che negli anni seguenti, per senatoconsulto i
consoli organizzarono insieme a me. Ventisei
volte ho dato al popolo, a mio nome o in
quello dei miei figli e nipoti, caccie di bestie
Africane, o nel circo, o nel foro o negli
anfiteatri, nelle quali furono uccise circa
tremilacinquecento fiere.
[23] Navalis proeli spectaclum populo dedi
trans Tiberim in quo loco nunc nemus est
Caesarum, cavato solo in longitudinem mille et
octingentos pedes, in latitudinem mille et
ducenti, in quo triginta rostratae naves triremes
aut biremes, plures autem minores inter se
conflixerunt; quibus in classibus pugnaverunt
praeter remiges millia hominum tria circiter.
23. Ho dato al popolo lo spettacolo di una
guerra navale al di là del Tevere, dove ora è il
bosco sacro dei Cesari, avendo fatto uno scavo
di milleottocento piedi di lunghezza, per una
larghezza di milleduecento [530 per 353
metri], nel quale si affrontarono trenta navi
rostrate, triremi o biremi, e parecchie minori.
In queste flotte combatterono circa tremila
uomini, oltre i rematori.
[24] In templis omnium civitatium provinciae
Asiae victor ornamenta reposui quae spoliatis
templis is cum quo bellum gesseram privatim
possederat. Statuae meae pedestres et equestres
et in quadrigeis argenteae steterunt in urbe
XXC circiter, quas ipse sustuli, exque ea
pecunia dona aurea in aede Apollinis meo
nomine et illorum qui mihi statuarum honorem
habuerunt posui.
24. Dopo la mia vittoria ho fatto rimettere nei
templi di tuttte le città della provincia d’Asia
gli ornamenti che colui al quale ho mosso
guerra [M. Antonio] aveva preso come sue
cose private. Furono innalzate nell’Urbe circa
quaranta statue mie, a piedi a cavallo o su
quadrighe in argento; che io ho fatto togliere
ed ho posto come doni in oro nel tempio di
Apollo il valore di esse, a mio nome e in nome
di quelli che avevano innalzato le statue in mio
onore.
[25] Mare pacavi a praedonibus. Eo bello
servorum qui fugerant a dominis suis et arma
contra rem publicam ceperant triginta fere
millia capta dominis ad supplicium sumendum
tradidi. Iuravit in mea verba tota Italia sponte
sua, et me belli quo vici ad Actium ducem
depoposcit; iuraverunt in eadem verba
provinciae Galliae, Hispaniae, Africa, Sicilia,
25. Liberai il marte dai pirati. Catturai in
quella guerra [36 a. C.] circa 30.000 schiavi,
fuggiti dai loro padroni e armatisi contro la
repubblica e li consegnai per la punizione ai
proprietari. L’Italia intera giurò
volontariamente nelle mie parole, e mi invocò
come duce nella guerra che vinsi ad Azio [31
a. C.]; giurarono nelle stesse parole le province 15
Sardinia. Qui sub signis meis tum militaverint
fuerunt senatores plures quam DCC, in iis qui
vel antea vel postea consules facti sunt ad eum
diem quo scripta sunt haec LXXXIII,
sacerdotes circiter CLXX.
della Gallia, delle Spagne, di Africa, Sicilia
Sardegna. Di coloro che militarono allora sotto
le mie insegne, più di 700 erano senatori, e tra
essi erano stati o furono eletti consoli fino ad
oggi 83, e circa 170 i sacerdoti.
[26] Omnium provinciarum populi Romani
quibus finitimae fuerunt gentes quae non
parerent imperio nostro fines auxi. Gallias et
Hispanias provincias, item Germaniam, qua
includit Oceanus a Gadibus ad ostium Albis
fluminis pacavi. Alpes a regione ea quae
proxima est Hadriano mari ad Tuscum
pacificavi nulli genti bello per iniuriam inlato.
Classis mea per Oceanum ab ostio Rheni ad
solis orientis regionem usque ad fines
Cimbrorum navigavit, quo neque terra neque
mari quisquam Romanus ante id tempus adit.
Cimbrique et Charydes et Semnones et
eiusdem tractus alii Germanorum populi per
legatos amicitiam meam et populi Romani
petierunt. Meo iussu et auspicio ducti sunt duo
exercitus eodem fere tempore in Aethiopiam et
in Arabiam quae appellatur Eudaemon,
magnaeque hostium gentis utriusque copiae
caesae sunt in acie et complura oppida capta.
In Aethiopiam usque ad oppidum Nabata
perventum est, cui proxima est Meroe; in
Arabiam usque in fines Sabaeorum processit
exercitus ad oppidum Mariba.
26. Estesi i territori di tutte le province del
popolo Romano confinanti con popolazioni
non soggette al nostro dominio. Pacificai le
province delle Gallie, delle Spagne e così la
Germania da Cadice fino alle foci dell’Elba.
Le Alpi, dalla regione prossima all’Adriatico
fino al Tirreno, le pacificai senza recare guerra
ingiusta ad alcuna popolazione. La mia flotta
ha navigato per l’Oceano, dalla foce del Reno
alla regione del Sole nascente [ad Est] fino ai
territori dei Cimbri, dove fino ad allora nessun
Romano era arrivato né per terra né per mare. I
Cimbri, i Caridi e i Semnoni ed altre
popolazioni germaniche di quella regione
mandarono ambasciatori a chiedere l’amicizia
mia e del popolo Romano. Quasi nello stesso
tempo sono stati condotti due eserciti, per mio
ordine e sotto i miei auspici, in Etiopia e
nell’Arabia chiamata Felice, e gran numero di
nemici di entrambe le popolazioni cadde in
battaglia, e molte città furono conquistate. In
Etiopia si arrivò fino a Nabata, che è vicina a
Meroe; in Arabia, l’esercito giunse nei territori
dei Sabei, fino alla città di Mariba.
[27] Aegyptum imperio populi Romani adieci.
Armeniam maiorem interfecto rege eius
Artaxe cum possem facere provinciam malui
maiorum nostrorum exemplo regnum id
Tigrani regis Artavasdis filio, nepoti autem
Tigranis regis, per Ti. Neronem tradere, qui
tum mihi privignus erat. Et eandem gentem
postea desciscentem et rebellantem domitam
per Gaium filium meum regi Ariobarzani regis
Medorum Artabazi filio regendam tradidi, et
post eius mortem filio eius Artavasdi; quo
interfecto Tigranem qui erat ex regio genere
Armeniorum oriundus in id regnum misi.
Provincias omnis quae trans Hadrianum mare
vergunt ad orientem Cyrenasque, iam ex parte
magna regibus ea possidentibus, et antea
Siciliam et Sardiniam occupatas bello servili
reciperavi.
27. Aggiunsi l’Egitto al dominio del popolo
Romano [30 a. C.]. Potendo ridurre a provincia
l’Armenia, dopo l’uccisione del suo re Artace,
preferii, seguendo l’esempio dei nostri
antenati, affidare quel regno, per mezzo di
Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro, a
Tigrane, figlio del re Artavasde, e nipote del re
Tigrane. Successivamente quando quella stessa
gente si rivoltò e ribellò e fu sottomessa da
mio figlio Caio, la detti da governare al re
Ariobarzane figlio di Artabaze re dei medi, e
dopo la sua morte a suo figlioArtavasde;
essendo stato ucciso costui, mandai in quel
regno Tigrane, che proveniva dalla famiglia
reale degli Armeni. Riconquistai tutte le
province che si estendono verso oriente al di là
del mare Adriatico e [quella di] Cirene, che
allora erano per la maggior parte possedute da
re, e già prima recuperai la Sicilia e la
Sardegna, occupata durante la guerra servile
[contro Sesto Pompeo].
[28] Colonias in Africa, Sicilia, Macedonia,
utraque Hispania, Achaia, Asia, Syria, Gallia
Narbonensi, Pisidia militum deduxi. Italia
autem XXVIII colonias quae vivo me
celeberrimae et frequentissimae fuerunt mea
auctoritate deductas habet.
28. Dedussi colonie di soldati in Africa,
Sicilia, Macedonia, le due Spagne, Acaia,
Asia, Siria, Gallia Narbonense, Pisidia. Inoltre
l’Italiam ha ventotto colonie dedotte in base
alla mia auctoritas, che divennero celeberrime
e popolosissime durante la mia vita.
[29] Signa militaria complura per alios duces
amissa devictis hostibus recepi ex Hispania et
Gallia et a Dalmateis. Parthos trium exercitum
Romanorum spolia et signa reddere mihi
supplicesque amicitiam populi Romani petere
coegi. Ea autem signa in penetrali quod est in
templo Martis Ultoris reposui.
29. Recuperai, dopo aver vinto i nemici, dalla
Gallia, dalla Spagna e dai Dalmati molte
insegne militari, perse da altri condottieri.
Obbligai i Parti a rendere le spoglie e le
insegne di tre eserciti Romani, e a domandare,
supplici, l’amicizia del popolo Romano.
Queste insegne, le deposi nei penetrali [il
santuario interiore] del tempio di Marte Ultore
[30] Pannoniorum gentes, quas ante me
principem populi Romani exercitus nunquam
adit, devictas per Ti. Neronem, qui tum erat
privignus et legatus meus, imperio populi
Romani subieci, protulique fines Illyrici ad
ripam fluminis Danui. Citra quod Dacorum
transgressus exercitus meis auspicis victus
profilgatusque est, et postea trans Danuvium
ductus exercitus meus Dacorum gentes imperia
populi Romani perferre coegit.
30. Ho sottomesso al dominio del popolo
Romano le genti della Pannonia, vinte da
Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro e
mio legato, e ho portato i confini dell’Illirico
alle sponde del Danubio. L’esercito dei Daci,
che lo aveva traversato, sotto i miei auspici è
stato vinto e messo in fuga, e successivamente
il mio esercito, condotto oltre il Danubio, ha
costretto i popoli Daci a sottomettersi all’
impero del popolo Romano
[31] Ad me ex India regum legationes saepe
missae sunt non visae ante id tempus apud
quemquam Romanorum ducem. Nostram
amicitiam appetiverunt per legatos Bastarnae
Scythaeque et Sarmatarum qui sunt citra
flumen Tanaim et ultra reges, Albanorumque
rex et Hiberorum et Medorum.
31. Spesso mi sono state inviate dall’India
ambascerie di re, prima d’allora mai viste
presso alcun condottiero romano. I re dei
Bastarni, degli Sciti e dei Sarmati che sono al
di qua e al di là del Tanai [l’odierno Don]
richiesero, attraverso ambasciatori la nostra
amicizia.
[32] Ad me supplices confugerunt reges
Parthorum Tiridates et postea Phrates regis
Phratis filius, Medorum Artavasdes,
Adiabenorum Artaxares, Britannorum
Dumnobellaunus et Tincommius,
Sugambrorum Maelo, Marcomanorum
Sueborum [?Segime]rus. Ad me rex Parthorum
Phrates Orodis filius filios suos nepotesque
omnes misit in Italiam non bello superatus, sed
amicitiam nostram per liberorum suorum
pignora petens. Plurimaeque aliae gentes
expertae sunt p. R. fidem me principe quibus
antea cum populo Romano nullum extiterat
legationum et amicitiae commercium.
32. Si rifugiarono presso di me, supplici, i re
dei Parti Tiridate e poi Frate, figlio del re
Frate, Artavasde dei Medi, Artaxare degli
Adiabeni, Dumnobellauno e Tincommio dei
Britanni, Melo dei Sicambri, Segimero [?] re
dei Marcomanni e degli Svevi. Il re dei Parti
Frate, figlio di Orode, inviò tutti i suoi figli e
nipoti, non perché vinto in guerra, ma per
chiedere la nostra amicizia attraverso il pegno
dei suoi discendenti. Essendo io principe, molti
altri popoli hanno fatto l’esperienza della fides
[lealtà, fiducia, parola] del popolo Romano,,
con i quali in precedenza non vi era stato alcun
scambio di ambascerie e di amicizia.
[33] A me gentes Parthorum et Medorum per
legatos principes earum gentium reges petitos
acceperunt: Parthi Vononem, regis Phratis
filium, regis Orodis nepotem, Medi
Ariobarzanem, regis Artavazdis filium, regis
Ariobarzanis nepotem.
33. Le genti dei parti e dei Medi ricevettero
come re principes [principi, uomini eminenti]
dei loro popoli, avendolo richiesto attraverso
loro ambasciatori: i Parti [ebbero in re]
Vonone, figlio del re Frate, i Medi
Ariobarzane, figlio del re Artavazde e nipote
del re Ariobarzane. 17
[34] In consulatu sexto et septimo, postquam
bella civilia exstinxeram, per consensum
universorum potitus rerum omnium, rem
publicam ex mea potestate in senatus
populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro
merito meo senatus consulto Augustus
appellatus sum et laureis postes aedium
mearum vestiti publice coronaque civica super
ianuam meam fixa est et clupeus aureus in
curia Iulia positus, quem mihi senatum
populumque Romanum dare virtutis
clementiaeque et iustitiae et pietatis caussa
testatum est per eius clupei inscriptionem. Post
id tempus auctoritate omnibus praestiti,
potestatis autem nihilo amplius habui quam
ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae
fuerunt.
34. Durante il mio sesto e settimo consolato
[28 e 27 a. C.], dopo che ebbi posto fine alle
guerre civili, avendo conseguito per consenso
universale il supremo potere, trasferii la res
publica [la cosa pubblica, la repubblica,
l’ordinamento romano] dalla mia potestà alla
discrezionalità del senato e del popolo
Romano. Per questo mio merito, per
senatoconsulto, ho ricevuto l’appellativo di
Augusto [16 gennaio 27 a. C.]; le porte della
mia casa furono ornate pubblicamente [con
una cerimonia pubblica] di alloro, sopra la
porta d’ingresso fu infissa la corona civica e fu
posto uno scudo d’oro nella curia Gulia, la cui
iscriziona attestava che il senato e il popolo
Romano lo davano a me a motivo del mio
valore, della mia clemenza, della mia giustizia
e della mia pietà [copia in marmo di questo
scudo è al museo di Arles con l’iscrizione:
SENATUS / POPULUSQUE ROMANUS /
IMP(eratori) CAESARI DIVI F(ilio)
AUGUSTO / CO(n)S(uli) VIII DEDIT
CLUPEUM/VIRTUTIS CLEMENTIAE/
IUSTITIAE PIETATIS ERGA / DEOS
PATRIAMQUE, iscrizione che in base agli
anni di consolato si data al 26 a.C.], dopo di
allora fui superiore a tutti per auctoritas, ma
non ebbi maggiore potestà di coloro che mi
furono anche colleghi nelle magistrature.
[35] Tertium decimum consulatum cum
gerebam, senatus et equester ordo populusque
Romanus universus appellavit me patrem
patriae, idque in vestibulo aedium mearum
inscribendum et in curia Iulia et in foro Aug.
sub quadrigis quae mihi ex s.c. positae sunt
censuit. Cum scripsi haec annum agebam
septuagensumum sextum.
35. Mentre rivestivo il consolato per la
tredicesima volta, il senato, l’ordine equestre e
l’intero popolo Romano mi acclamarono padre
della patria[5 febbraio del 2 a.C.] e stabilirono
che questo titolo fosse iscritto nel vestibolo
della mia casa, nella curia Giulia e nel foro
d’Augusto, sotto le quadrighe che vi furono
poste, per senatoconsulto, in mio onore. Ho
scritto queste cose quando avevo settantasei
anni [pochi mesi prima della morte, avvenuta a
Nola il 19 agosto del 14 d. C.]
Come si vede chiaramente dalla lettura del testo le Res Gestae volevano essere, oltre e più che una una apologia di Augusto, la ricostruzione della ‘verità ufficiale’ dell’instaurazione del principato e dell’attività del princeps e quindi un “manifesto” programmatico. Augusto, e in questo rivela la sua ‘modernità’, è forse stato il primo ad utilizzare scientemente e in modo diffuso la letteratura, e soprattutto la poesia come propaganda.
In questo documento c'è tutto quello che ci serve; Res Gestae , tacito e persino i poeti augustei
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